venerdì 30 settembre 2016

FORNETTO VERSILIA

sono giornate bellissime,
di sole caldo,sembra che l'estate quest'anno non voglia finire,
le giornate si accorciano ma le temperature sono decisamente estive.
Il mio Fornetto Versilia risulta quindi un'inseparabile amico.
Ve ne ho già parlato perché ho realizzato con esso la 



Attrezzo di cucina ormai in disuso, se non pressoché sconosciuto,
nasce appunto in Versilia, come dice il nome stesso, a Camaiore,
nell'azienda di Oreste Pardini nei primi del '900.
La Oreste Pardini nasce nella seconda metà dell'800 come società di produzione delle polveri per le mine destinate alle cave di estrazione del marmo di Carrara e della Versilia.  Nei primi del '900 si introduce il cavo elicoidale che rivoluziona il metodo di estrazione del marmo. La Oreste Pardini si "adegua" a questa innovazioni ed inizia a produrre corde per la realizzazione di cavi da lizza.
Nel '22 lo stabilimento amplia la produzione con l'introduzione dell'alluminio e la realizzazione delle prime pentole per uso casalingo e per le comunità.
La seconda guerra mondiale distrugge parte dello stabilimento ma questo non ferma lo slancio imprenditoriale e la voglia di continuo rinnovamento che negli anni ha sempre contraddistinto l'azienda.
Lo scorso anno però la Pardini  ha risentito pesantemente della crisi in atto.
Anni di storia, la vita di una famiglia che ha tramandato la tradizione a figli e nipoti
con  la voglia di rinnovarsi sempre e comunque, un pezzo di storia della Versilia.
Un grazie per aver realizzato questo Fornetto 
che ha fatto la gioia di grandi e piccini ogni domenica con la

"torta della nonna"  



Nei primi del '900 avere il forno in cucina non era scontato come lo è ora per noi, lo avevano solo in pochi, chi viveva in montagna sfruttava quello della stufa a legna, ecco allora l'invenzione di questa pentola che "lavora" come un forno, grazie allo spargifiamma ed al coperchio dotato di piccoli fori, che permettono la fuoriuscita del vapore ma conservano il calore, e cuoce in modo uniforme il dolce.
Dolce ma non solo, col Fornetto Versilia si può cucinare ogni cosa, unico "difetto" la forma a ciambella e la piccola capienza.
Sì possono addirittura cucinare arrosto e patatine,  
torte salate a forma di ciambella, muffin, ...
...provate...

calcolate  sempre che il tempo di cottura,  
 delle vostre preparazioni, è di 45 minuti,  massimo 1 ora

ACCORGIMENTI:
  • Al primo utilizzo lavare con acqua calda e normale detersivo per stoviglie;
  • Asciugare con cura ed accertarsi che non rilasci ancora del nero;
  • NON lavare mai lo spargifiamma, se fosse unto pulirlo con carta assorbente, è in ferro quindi con l'acqua arrugginisce;
  • NON lavare il Fornetto Versilia in lavastoviglie;
  • L'alluminio è un ottimo conduttore di calore, non utilizzarlo su fuochi grandi e ad alte temperature, la cottura sarà migliore ed uniforme a fuoco basso/moderato, posizionare sul fuoco piccolo (quello del caffè);
  • NON lasciare sul fuoco acceso il Fornetto vuoto;
  • NON utilizzarlo per conservare i cibi oltre i tempi di cottura;
  • La patina scura che si forma all’interno degli  strumenti di cottura di Alluminio  con purezza superiore al 99% è dovuta all’ossidazione del metallo: una vera propria  barriera protettiva inerte.

PER UNA PERFETTA COTTURA: 
  • Appoggiare lo spargifiamma sul fuoco prima di accenderlo;
  • Imburrare con cura il Fornetto aiutandosi con un pennello da cucina ed infarinare abbondantemente o in alternativa con del pangrattato evitando di lasciarne residui in eccesso;
  • E' possibile imburrare (ma non infarinare) anche l'interno del coperchio, col calore il burro si riverserà sul dolce conferendo un gradevole aspetto e gusto;
  • Una volta messo il dolce nel Fornetto, chiudere col coperchio e posizionare sullo spargifiamma, accendere il fuoco a fiamma alta per 5 minuti dopodiché ridurre al minimo e lasciare cuocere per 45 minuti;
  • NON sollevare mai il coperchio (almeno per i primi 30 minuti), verificate la cottura inserendo uno stecco per spiedini attraverso i fori per verificare la perfetta cottura della ciambella;
  • Togliere dal fuoco e lasciare intiepidire in Fornetto o sulla gratella a seconda  delle ricette.

Le praticità del Fornetto Versilia sono molteplici:
- evitare di accendere il forno e quindi sprecare grandi quantità di energia elettrica;
- poter cuocere "al forno" in estate senza "cuocere" anche voi col forno;
- portarlo con voi alla casa al mare o in montagna 
senza bisogno di avere anche lì un forno;
- per gli amanti del campeggio, e della buona cucina, vi può seguire anche lì;
- costo di acquisto decisamente irrisorio;
- nessuna manutenzione;
- la possibilità di acquistarne anche un secondo se volete lanciarvi in grandi preparazioni;

...non siete ancora convinti?
se volete ve lo presto (ma solo pochi giorni!) 

Io ci ho fatto anche il pane!



Al momento queste ricette da sperimentare:





giovedì 15 settembre 2016

CIAMBELLA

soffice al cacao amaro

Insomma tutto questo parlare, di cacao e cioccolato, 
ha sprigionato un bisogno, che definirei viscerale, di cioccolato.
L'arrivo poi del fantastico Fornetto Versilia in casa permette,
anche in giornate calde come queste,
di realizzare una torta senza bisogno di accendere il forno.

...Una ciambella soffice, un po' "burrosa" ma tanto, tanto, tanto, buona, 
con quel giusto di amaro dettato da un buon cacao amaro 
e da gocce di cioccolato fondente


INGREDIENTI: 
  • 320 g di farina 00 setacciata
  • 300 g di zucchero semolato
  • 200 ml di latte fresco
  • 90 g di burro
  • 30 g di cacao amaro in polvere
  • 10 g di lievito 
  • 5 uova intere
  • qb scagliette o gocce di cioccolato fondente a piacere
  • un pizzico di sale


PREPARAZIONE

Nella planetaria metto le uova e lo zucchero, lavoro sino a che si crea una crema soffice. 
Aggiungo in un sol colpo la farina rigorosamente setacciata con il lievito ed il pizzico di sale e ben amalgamato il cacao. Importante che il cacao non faccia grumi, io lo setaccio con la farina così risolvo il problema.



Lavoro un paio di minuti in modo che il tutto sia ben amalgamato.
Nel frattempo scaldo il latte in un pentolino, quando è quasi a bollore unisco il burro a pezzi e, con la frusta, lo faccio sciogliere e riporto a bollore il latte.
Attraverso il tubo alimentatore unisco lentamente il latte col burro lavorando lentamente per non smontare il composto. Lavoro ancora qualche minuto per avere la consistenza a nastro.




Verso il composto nel Fornetto Versilia rigorosamente imburrato ed infarinato.
Ricordate di eliminare tutta la farina in eccesso 
o diversamente la "mangiate" con la torta, 
e non è per nulla piacevole il gusto di farina sulla vostra bella fetta di torta!
Metto sul fornello, con lo spargifiamma, sul fuoco più piccolo, i primi 8-10 minuti a fiamma alta poi 45 minuti a fuoco basso.
!!! Mai sollevare il coperchio !!!
Al trascorrere dei 45 minuti verifico la perfetta cottura infilando uno stecco da spiedino direttamente attraverso i fori del coperchio e se ne esce completamente asciutto la nostra torta è pronta, altrimenti aspetto ancora qualche minuto.
Importante centrare lo spargifiamma sul fornello
 per evitare una cottura asimmetrica del dolce.



Lascio chiuso il Fornetto ancora per un ora a fuoco spento,
e non vi dico la penitenza di non poter vedere 
la ciambella che sta sprigionando questo profumo senza precedenti;
e magicamente la cucina non ha raggiunto i quaranta gradi 
benché siamo ancora in estate!!
!!Magico Fornetto Versilia!!


Una volta trascorsa l'ora tolgo la magica ciambella dal Fornetto 
e la metto a raffreddare sulla gratella,
poi ad ognuno i suoi vizi: 
zucchero a velo, panna montata, 
crema di nocciole come farcitura centrale o confettura di albicocche,...

Io vorrei tagliarla in dodici fette ed ognuna guarnirla in modo diverso
ma non posso assaggiarle tutte!

...o forse sì?!


Fra una fetta e l'altra, finisco di leggere questo libro.



C'è un capitolo più di tutti che mi è piaciuto, racconta una storia, 
la storia vera di Mina e Piero, una storia come tante, una storia come nessuna, 
la vita e la morte di una persona, 
il modo di porsi davanti alla vita ed alla morte, momenti particolari, anomali, inusuali.
La dignità, la volontà di scegliere senza giudizio degli altri,
il bisogno che gli altri capiscano le nostre scelte senza giudicarle, 
la possibilità di arrendersi ad un certo punto, 
volendo essere visti ancora per quello che siamo e siamo sempre stati: 
umani




Piero e Mina
Per me forse è una cosa un po' insolita, 
ma vorrei raccontare una storia d'amore che mi è entrata dentro, e non è uscita più. 
Come capita alle storie importanti che leggi o che ascolti.

È la primavera del 1973. Molto tempo fa, prima che io nascessi. 
Una ragazza in gita con la parrocchia,
una ragazza altoatesina, si perde per le strade di Roma,
forse la città più grande dove è mai finita nella sua vita. 
Deve andare a piazza Venezia ed è a Campo de' Fiori, e non sa la strada.
Vede un signore seduto e gli chiede indicazioni. 
Il signore porta un giacchetto a frange e ha i capelli biondi lunghi.
Sembra un hippy. Si alza, è altissimo, più di un metro e novanta. 
E non solo le dà l'indicazione, ma si offre di accompagnarla.
Lei nota che zoppica e gli dice: "Non si preoccupi, vado da sola". 
"No, l'accompagno." 
Così Piergiorgio Welby e Wilhelmine Schett, detta Mina, 
si dirigono insieme verso piazza Venezia.
Nel tragitto parlano di tutto quello di cui si può parlare in pochi minuti.
Lui sessantottino, laico, ha girato l'Europa, scrive, dipinge. 
Lei cattolica praticante, in viaggio con la parrocchia a Roma. 
Eppure questi due mondi apparentemente così lontani si incontrano.
Quando si salutano, si scambiano i numeri di telefono e gli indirizzi.
Iniziano a scriversi, a sentirsi.
Piero non dimentica quella ragazza altoatesina, anche se l'ha vista solo per pochi minuti. Anche Mina non l'ha dimenticato, tanto che torna a Roma, 
questa volta per lui. 
Non se ne andrà più, 
perché Piero le propone subito di vivere insieme nella casa in cui abita con i genitori.
È un clima sereno, come succede quando sta nascendo qualcosa di nuovo.
Dopo due anni di convivenza, la madre coglie l'occasione di una cena per chiedere:
"Ma perché non vi sposate?". 
Piero tace, Mina guarda per terra, Piero cambia argomento. 
La sera finisce così. Quando però restano da soli, Mina gli chiede: 
"Perché non hai risposto? Non mi vuoi sposare?". 
Piero risponde: 
"Non voglio sposarti. Perché devi essere libera, libera di andartene quando vuoi. 
Quando la mia malattia mi renderà un tronco, per te sarò solo un peso".
Piero le aveva già spiegato di essere affetto da distrofia muscolare progressiva,
una malattia neuro degenerativa che colpisce i muscoli 
e annienta progressivamente il corpo. 
Ma è solo allora che le confida le sue paure: 
"Io non ti devo nascondere nulla, io morirò soffocato". 
Mina risponde con una semplicità disarmante,
una semplicità profonda come il mare:
"Intanto andiamo avanti, in fondo nessuno sa cosa riserva il futuro.
Chi ha paura del futuro non vive il presente".
Smonta così, con la sua semplicità, tutta la carica drammatica delle parole di Piero, 
che non voleva compromettere la felicità di Mina.

Nel 1980 si sposano in chiesa, perché la famiglia Welby è cattolica.
Piero arriva al matrimonio in carrozzina,
lentamente la malattia sta bloccando tutto, braccia, mani, gambe, fino al cuore. 
Lui adorava passeggiare nei boschi perché il padre era un cacciatore,
ma non ce la fa più. Mina non si perde d'animo e con la consueta semplicità gli dice: 
"Se non puoi più andare a caccia, andremo a pesca!".
 Mina è così: il fatto che una cosa non si possa più fare è per lei solo la
premessa per farne delle altre, magari pure più belle ' e divertenti. 
E così vanno a pesca, in carrozzina, con le canne in un portacanne. 
E siccome Piero ha difficoltà a muovere le braccia,
Mina impara anche a montare l'amo:
 "Non avrei mai pensato che nella vita sarei finita a mettere vermi su un amo".
Tutte le sventure che capitano, e ne capiteranno molte, sembrano sempre essere occasioni - soprattutto per Mina, ma anche per Piero - 
per inventarsi un modo altro di vivere. 
Come se ogni ostacolo fosse un passo necessario per mettere alla prova il sentimento
e soprattutto costruire qualcosa di pieno, 
non qualcosa che sia solo un modo per portare avanti una tragedia.
Inventarsi una vita. 
A causa del respiratore, Piero non può più uscire di casa.
 Quindi Mina cerca di portargli a casa la natura che lui tanto amava. 
Inventano la fotografia di insetti, fiori, mosche... 
Non fotografano mai insetti morti, sempre vivi!
Mina aiuta Piero a capire che il presente
è l'unica vera forma di eternità che l'uomo può conoscere.
Piero le dirà:
"Tu mi hai fatto fare così tante cose che non mi sono nemmeno accorto di stare male"...
Avevano fatto un accordo, Mina e Piero: 
nel caso lui fosse stato male, lei non l'avrebbe portato in ospedale.
Piero credeva che sarebbe andato in coma e che sarebbe morto. 
Lei promette, ma poi viene quel terribile giorno, 
arriva la dannatissima crisi respiratoria e Mina, spaventata, non ce la fa. 
Non accetta l'idea di perderlo e chiama un'ambulanza. 
Una cosa è accettare un patto, un'altra è metterlo in atto. 
Piero viene tracheotomizzato, gli fanno un'incisione chirurgica sulla trachea per aprire una via respiratoria alternativa a quella naturale, 
e da quel giorno vivrà attaccato a un respiratore, immobile, a letto. 
Questo respiratore artificiale è un congegno che si gonfia e si sgonfia pompando
aria dentro al corpo.
Il rumore cadenzato è simile al pistone di una locomotiva.
Ma la loro vita non si ferma. Piergiorgio leggeva tantissimo, mangiava libri. 
Ascoltava un programma di RadioTre sui libri, Fahrenheit, ossigeno per ogni lettore,
e poi diceva a Mina: "Voglio questo libro. Ma non abbiamo soldi". 
E Mina scherzava: "Ma tu sei ricco, per questo ti ho sposato!". 
In realtà vivevano con
un'indennità di accompagnamento di 450.000 lire al mese, 
oggi sarebbero più o meno 500 euro.
Piero amava anche dipingere, quadri a olio. All'inizio per diletto: la possibilità di creare per svagarsi, ma man mano che la malattia procedeva faceva sempre
più fatica nei movimenti e quindi chiedeva a Mina di muovergli la tela sotto le mani a seconda della  figura che voleva disegnare, mentre lui teneva il pennello fermo tra le dita. Mina gli propone allora di dipingere quadri più piccoli: 
"Anche i grandi artisti l'hanno fatto". 
E infatti le sue ultime opere sono disegni di piccole dimensioni. 
Mina sperava che così rimanesse attaccato alla vita. Nel suo libro scrive: 
"Ho veramente esercitato un accanimento terapeutico, 
ma il mio era un accanimento terapeutico d'amore".
Nel 2001 la malattia peggiora e Piero si deprime.
Dice: "È tutto finito. Basta". La distrofia muscolare è una malattia che annienta il corpo lasciando però intatta, nella maggioranza dei casi, la mente.
 Quindi il malato è assolutamente lucido e consapevole del suo decadimento e del dolore che la malattia gli provoca.
Piero chiede alla moglie di essere d'accordo con lui nella richiesta di staccare il respiratore. Mina si arrabbia, non può accettarlo, per lei è come se lui le stesse
dicendo che vuole lasciarla. È come se lui le stesse dicendo: 
"Non ti amo più". Tanto che lei gli risponde:
"Io il divorzio non te lo do! Allora Piero, che la conosce bene, la chiama come sempre schioccando la lingua e le chiede di mettergli le mani attorno al collo.
"Dai su, non fare così, ho capito benissimo
 Mina ripete spesso: 
"Io ero la sua infermiera, lui il mio
psicologo, sapeva sempre come prendermi."
 Mina credeva che fosse Piergiorgio a essere egoista, invece poi capirà che Egoista era lei.
Inizia allora la battaglia insieme ai Radicali per ottenere
di poter staccare il respiratore.
Nel 2002 Piero apre un forum, 
che aggiornerà costantemente fino all'ultimo giorno di vita. 
Scrive con lo pseudonimo di Calibano, dal personaggio della Tempesta di Shakespeare:
un mostro, un selvaggio deforme e lentigginoso "non onorato con forma umana". Attraverso il forum entra in contatto con persone di tutto il mondo
che hanno la sua stessa urgenza, che stanno vivendo la sua stessa sofferenza.
Piero vuole arrivare in fretta a quella che definisce una "morte dignitosa",
facendo tutto nella legalità.
Quello che chiede non è eutanasia, cioè la pratica che consiste nel procurare la morte nel modo più indolore, rapido e incruento possibile a un essere umano affetto da una malattia inguaribile, per porre fine alla sua sofferenza. Chiede la rinuncia all'accanimento
terapeutico, cioè a tutte quelle tecniche mediche che servono a sostenere artificialmente le funzioni vitali di soggetti affetti da patologie inguaribili.
Non vuole abbreviarsi la vita causando la morte. 
Come dice il cardinale Carlo Maria Martini: 
"Evitando l'accanimento terapeutico non si vuole procurare la morte,
ma si accetta di non poterla impedire".
Le persone che vengono a trovarlo, non capendolo, dicono a Mina:
"Vuole morire perché è depresso, perché non è curato abbastanza".
Il 22 settembre 2006 Piero decide di inviare una video-lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. È abituato ormai da tempo a usare un
sintetizzatore vocale: sul monitor di fronte a lui ci sono delle lettere, che lui con lo sguardo indica, e il sintetizzatore emette le frasi che lui vuole dire. 
Il suo messaggio è il manifesto poetico della sua battaglia per la vita:

Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, 
la passeggiata notturna con un amico. 
Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l'amico che ti delude. 
Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso. 
Morire mi fa orrore.
Purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, 
è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche.

Sono parole bellissime, che non riguardano neanche soltanto la questione della bioetica. 
La saggezza, il vento tra i capelli, la donna che ami ma anche la donna che ti lascia, l'amico che ti tradisce: qui non c'è un uomo che concepisce la vita come un percorso di sola felicità. "Morire mi fa orrore", dice.
 Ha paura, ma non vuole andare incontro al suicidio, non ci pensa nemmeno. 
Lui considera la sua non più vita.
Ciò che per altri può essere considerata vita, per Piero non lo è. 
E sente che solo lui ha il diritto primo e ultimo di decidere della sua situazione. 
Sente di averne il diritto.
La forza di Piergiorgio Welby, così come la forza di Beppino Englaro e di Luca Coscioni, 
è quella di avere agito nel diritto, di avere sempre rivendicato la possibilità di scegliere. Piero avrebbe potuto andare in Svizzera, 
e una volta Mina glielo aveva proposto:
"Lì si può, lì non c'è accanimento terapeutico, lì ti fanno addormentare". 
Lui aveva risposto: "E se cade l'aereo?".
Perché il suo obiettivo non era soltanto risolvere una questione personale, 
ma creare la possibilità di scelta nel diritto. 
Piero, Beppino, Luca potevano tranquillamente pagare una tangente, 
come già si fa negli ospedali italiani.
L'eutanasia esiste già: si paga qualcuno per agire in silenzio. 
Era stato anche proposto a Mina: "Non lo alimenti più e nel tempo si indebolisce...".
Ecco perché le parole di Piergiorgio Welby al presidente Napolitano sono parole che non riguardano solo i diritti del malato, ma i diritti di tutti in quanto italiani. 
Perché ogni volta che ci si rivolge al diritto per una propria scelta personale, 
si stanno salvaguardando i diritti di tutti.
Un medico di Cremona, un anestesista-rianimatore, Mario Riccio, 
che aveva seguito la vicenda Welby sui giornali e ascoltato le parole indirizzate al presidente della Repubblica, decide di aiutare Piergiorgio.
Mancano pochi giorni a Natale e gli dice: "Allora, ci vediamo dopo Natale?". 
Piero si sente già finito, vuole solo che gli sia aperta quest'ultima porta e che sia per lui un momento normale, tanto che gli risponde deciso: 
"No, no, ci vediamo mercoledì, dopo i 'pacchi'
[Affari tuoi, la trasmissione su Raiuno]".
Il pomeriggio di quel 20 dicembre Mina è triste.
Qualsiasi cosa faccia per lui, gesti quotidiani che ha fatto per tanti anni, pensa: 
"Questo lo sto facendo perl'ultima volta".
 E mentre è presa dall'ansia, è frenetica.
Lui le chiede: 
"Ma sei stata felice?". 
Una di quelle domande che vorresti sempre fare alla persona che ami. 
Per Mina era stata "una vita piena e felice, la migliore che avrei potuto immaginare". Tanto che gli dice:
"Vienimi a prendere, che faccio senza di te?". 
"Tu c'hai da fa'!" sdrammatizza lui.
È in quel pomeriggio che Piero confessa a Mina:
"Morire non è uno scherzo". 
La sera del suo ultimo giorno ha guardato le e-mail, ha risposto ai commenti sul blog e poi ha cancellato tutto. 
Verso le undici, Piergiorgio si congeda dai parenti e da tre amici radicali 
riuniti al suo capezzale. 
Il medico si avvicina e gli chiede:
 "Procediamo?". 
Per questa ultima risposta Piero vuole usare la sua voce. Con affanno dice: "Sì".
Mina allora gli chiede: "Lo vuoi davvero? ". 
Piero sbatte le palpebre, una sola volta, per dire: "Sì". 
Morirà poco dopo, in modo dignitoso come lui aveva chiesto
e desiderato per tanto tempo, nel rispetto della legge.
Cattolica come la madre di Piero, Mina vuole celebrare
l'ultimo saluto in chiesa. Riceve invece dal vicariato di Roma questa risposta:

In merito alla richiesta di esequie ecclesiastiche per il
defunto Dott. Piergiorgio Welby, il vicariato di Roma
precisa di non aver potuto concedere tali esequie perché,
a differenza dei casi di suicidio nei quali si presume
la mancanza delle condizioni di piena avvertenza e
deliberato consenso, era nota, in quanto ripetutamente
e pubblicamente affermata, 
la volontà del Dott.Welby di porre fine alla propria vita, 
ciò che contrasta con la dottrina cattolica.

A rispondere così è la stessa istituzione che ha assicurato regolare sepoltura 
a Enrico De Pedis, detto Renatine, boss tra i fondatori della banda della Magliana, 
ucciso nei pressi di Campo de' Fiori a Roma, il 2 febbraio 1990, 
dai sicari inviati dai suoi "ex amici*.
Il suo nome è legato alla vicenda di Emanuela Orlandi, la ragazza scomparsa in Vaticano nel 1983. Non ha mai scontato un giorno di galera, Renatino, e la sua salma si trova all'interno della cripta della basilica di Sant'Apollinare a Roma. Venne tumulata e le
chiavi del cancello consegnate alla vedova Carla, e solo a lei è consentito l'accesso. 
Funerali cattolici sono stati concessi anche a dittatori come Francisco Franco e Augusto Pinochet. Franco, instauratore in Spagna di un regime sostenuto dalla Germania nazista e dall'Italia fascista, responsabile della morte di oltre duecentocinquantamila oppositori al suo governo, è venerato come santo dalla chiesa cattolica palmariana, una chiesa cattolica scismatica. Alla cerimonia religiosa in onore di Pinochet, il dittatore cileno condannato
per crimini contro l'umanità, sessantamila persone hanno reso omaggio alla salma.
Nel marzo del 1991 Mario Iovine, uno dei fondatori del clan dei Casalesi, è stato sepolto con cerimonia religiosa a Casal di Principe, di notte. Al funerale del mafioso della
Sacra corona unita, Roberto Sannolla, ucciso durante la latitanza in Montenegro, ragazze vestite da sposa seguivano il feretro.
Tutti funerali religiosi, cattolici. 

La chiesa dove Mina voleva salutare per l'ultima volta Piero è rimasta invece chiusa. 
Le esequie di Piergiorgio Welby sono state celebrate con rito civile 
nel piazzale antistante la chiesa di San Giovanni Bosco a Roma. 
I funerali religiosi, concessi a dittatori e criminali, 
a persone che hanno disposto della vita degli altri, sono stati negati a Piergiorgio Welby, un uomo giusto la cui unica colpa è stata, dopo aver patito quarant'anni di malattia, decidere di non voler soffrire più, di voler disporre della propria vita. 
Nel funerale sì è ricordato che Piero aveva solo voluto smettere di soffrire, 
aveva solo chiesto un ultimo gesto d'amore.

L'amore di Mina e Piero era iniziato a Campo de' Fiori 
sotto la statua di Giordano Bruno, filosofo campano, nolano. 
Ora quella statua non è più soltanto per me la statua di un filosofo che adoro, 
di un faro del pensiero. 
È anche il ricordo della loro storia d'amore. 
Ora quando leggo le ultime parole di Giordano Bruno penso a Piergiorgio Welby:

Ho lottato, e molto: 
credetti poter vincere 
(ma alle membra venne negata la forza dell'animo),
 e la sorte e la natura repressero lo studio e gli sforzi. [...] 
Per quel che mi riguarda ho fatto il possibile [...]: 
non aver temuto la morte, 
non aver ceduto con fermo viso a nessun simile, 
aver preferito una morte animosa a un'imbelle vita.