CIOCCOLATO
MON AMOUR
Spulciando negli scaffali della biblioteca,sono incappata in questo curioso volume
dal formato insolito e dal titolo assai invitante.
Un po' sgualcito, con le pagine ingiallite,
con qualche striscia di scotch qua e là
...vi propongo alcuni passaggi, tra mito e storia, leggenda e realtà,
di quello che, da sempre, è alimento raffinato e prodigioso...
...è da sempre la mia unica droga...
...è da sempre la mia unica droga...
IL CIOCCOLATO
"IL PRODIGIO DI UNA TAZZA FUMANTE:
Quando fa freddo, quando il tempo è umido e nebbioso, ma anche quando ci sentiamo affaticati e sfiduciati, c'è forse qualcosa di più tonico, di più "decisivo" per la nostra voglia di fare, di una buona tazza di cioccolato fumante? C'è forse qualcuno disposto a negare che questa bevanda concili l'amicizia, la buona volontà e, perché no, l'amore?
Non si vuole dire con questo, naturalmente, che una tazza di cioccolata sia un afrodisiaco, ma è certo che si tratta di una bevanda che mette fuoco e ardore nelle vene, buonumore e buona disposizione verso gli altri. Il cacao -o la cioccolata o i cioccolatini o ancora quelle miracolose tavolette brune a cui chiediamo conforto quando ci sentiamo un po' abbattuti- è un dono della natura, così come lo è il caffè. Si tratta di sostanze "prodigiose" che accompagnano l'uomo nel suo difficile cammino tra le avversità. Per questo, saggi di ogni epoca ne hanno attinto come viaggiatori assetati ad una sorgente di acqua salutare; e non per niente ci fu un tempo in cui la polvere di cacao, mescolata a spezie ed allungata con acqua calda, era considerata un bevanda "divina". Proprio perché aveva del miracoloso. Era un dono della divinità, qualcosa che l'uomo aveva scoperto, ma che sempre era rimasta nascosta, quasi a celare la sua potenza risanatrice. E per lungo tempo, infatti, il cacao fu considerato anche una medicina,
così come bere cioccolata in tazza fu, presso le corti,
considerato segno di distinzione e di nobiltà.
Una tradizione, dunque, quella del cacao e della cioccolata, che non ha attratto soltanto i bambini e i golosi, ma tutti, uniti nell'apprezzamento di una bevanda
che è anche buona e fa bene."
"UN ANTICO MITO:
I popoli che componevano l'impero di Montezuma -che era il sovrano degli Aztechi al tempo della conquista del Messico da parte degli Spagnoli guidati da Hernàn Cortèz- cioè gli aztechi stessi, gli Olmechi, i Toltechi e i Maya- avevano da tempo immemorabile notato una pianta da cui si originavano grossi rami orizzontali da cui a loro volta si dipartivano rami più piccoli, in cui le foglie crescevano in vari periodi dell'anno (se cadeva la pioggia al tempo giusto), presentando colori diversi, dal rosa, al verde, al viola scuro. La doppia articolazione del picciolo permetteva alle foglie di girarsi sempre verso la luce. I fiori che presentavano organi sessuali sia maschili che femminili (gli scienziati europei li chiameranno, poi, "ermafroditi"), erano bianchi e rosati e fiorivano lungo tutto l'arco dell'anno.Era una meraviglia guardare le vallate messicane intorno a Tenochtitlàn (l'attuale Città del Messico) ricoperte eternamente di fiori; gli Spagnoli ne rimasero molto meravigliati. L'impollinazione era eseguita da moscerini, ma mediamente soltanto un fiore su 500 sviluppava un frutto, che assomigliava a un baccello (nella forma, infatti, ricordava la papaia o la mela cotogna); l'involucro esterno presentava dei solchi che indurivano sempre più a mano a mano che il frutto maturava. Ogni albero -dissero i Messicani agli Spagnoli- aveva una vita media di circa quarant'anni e il raccolto variava molto da un anno all'altro. "Il cacao -scrisse Diego de Landa, vescovo e cronista- è l'oro di questo paese e serve come denaro anche nella piazza di Chichén Itzàche era un centro religioso) "I mercanti dei semi di questa pianta erano molto stimati ed esenti da tasse: un editto imperiale stabiliva che gli agricoltori erano tenuti a coltivare almeno 400 piedi quadrati di terreno a testa. I cuochi Aztechi, conoscendo ingredienti fondamentali quali la farina, le uova e lo zucchero, si sbizzarrivano in torte, biscotti e focacce che facevano la gioia del loro sovrano e della corte.Comunque, pur difronte a tutto questo ben di Dio, Montezuma si scioglieva letteralmente dinnanzi alla sua bevanda preferita: il "chocolàtl", un gustosissimo cocktail preparato sapientemente con polvere di cacao, vaniglia e altre spezie. Il divino imperatore (secondo quanto hanno tramandato i cronisti dell'epoca) ne trangugiava almeno quaranta tazze al giorno !Montezuma non usava mai due volte la stessa tazza: concluso il pranzo, il servizio usato per il regale pasto veniva donato a qualche nobile del palazzo, che era felicissimo di usare ciò che le mani del suo imperatore avevano toccato. Ma perché gli Aztechi davano tanta importanza a questa bevanda? A causa di un antico mito: si raccontava, infatti, che nei tempi antichi esisteva una principessa bellissima che lo sposo, partendo per la guerra in un paese lontano, aveva lasciato a guardia di un immenso tesoro. La principessa fu assediata da genti nemiche che volevano carpirle il tesoro ma, anche quando fu catturata, ella rifiutò di rivelare il nascondiglio. I nemici, allora, la uccisero. Dal suo sangue, narra l'antica leggenda, nacque la pianta del cacao, i cui semi sono amari come la sofferenza, rossi come il sangue, ma eccitanti e forti come la virtù."
Secondo la classificazione in uso anche recentemente in America Latina, i tipi di cacao prodotti sono tre e prendono i nomi di criollo, forastero, trinitario. La prima parola, nell'accezione comune dei popoli centro-americani, ha il significato di "indigeno" ed è infatti il nome che i primi scopritori, gli Spagnoli, diedero al cacao prodotto dagli Aztechi. In questo tipo di cacao, i baccelli contenenti i semi sono allungati e scanalati, hanno colore verde quando spuntano e diventano arancio-rossicci alla maturazione. I semi contenuti all'interno hanno un aspetto biancastro e opaco. Questa qualità di cacao è tuttora coltivata in Messico, in Venezuela, in Colombia e in alcune regioni asiatiche. Malgrado la bontà ed il gradevole sapore della polvere dei semi di questo tipo di cacao c'è oggi la tendenza ad abbandonare la produzione, perché la resa è scarsa e la pianta non resiste bene alle malattie. Il nome forastero fu dato dalle genti del Centro-America alla pianta del cacao originaria dell'alto bacino del Rio delle Amazzoni (Brasile). Il baccello è rotondeggiante, piuttosto liscio esi presenta inizialmente verdastro per passare al giallo brillante quando il frutto è maturo. Il cacao denominato forastero comprende l'ottima produzione brasiliana, il nacional, prodotto in Ecuador, e varie specie coltivate in altri paesi dell'America Latina,a Giava e nello Sri Lanka (Ceylon). Profondamente diversa è la specie detta trinitario che sembra abbia avuto origine da una mescolanza di criollo proveniente dall'isola di Trinidad (Caraibi) e di forastero. Comunque sia, oggi il trinitario è molto diffuso e costituisce un gruppo omogeneo. I suoi baccelli presentano un tipico colore violetto e danno un ottimo cacao, abbastanza simile nel sapore e nella qualità al forastero."
"DALLA PIANTA ALLA TAZZA:
Il nome scientifico della pianta del cacao (appartenente alla famiglia delle Sterculiacee), Theobroma cacao, gli è stato attribuito dal celebre naturalista svedese Carl von Linné (meglio conosciuto come Linneo), il quale con la prima parola intendeva far riferimento a una voce greca che significava "nutrimento degli dei" e con la seconda al nome dato alla pianta dagli Aztechi: cacahuòtl. La pianta sembra essere originaria dell'America tropicale e,quindi, vuole un clima caldo e umido. Proprio Hernàn Cortés, il conquistatore spagnolo dell'impero di Montezuma fu il primo, intorno alla metà del Cinquecento,a importare in Europa i semi del cacao. Prima dall'ora il cacao -e la cioccolata che da esso deriva- era completamente sconosciuto al mondo occidentale. La pianta che da questi preziosissimi semi è un albero dalle radici molto profonde, alto da sei a otto metri, che viene mantenuto basso con frequenti potature. Non ha bisogno di troppa luce, ma non sopporta sbalzi eccessivi di temperatura. Talora, sugli altipiani messicani, veniva protetta -come, del resto, si fa anche oggi- con altri alberi alti e robusti che che servivano da frangivento e frangisole, un'operazione che veniva chiamata sombreamento, parola in uso ancora ai nostri giorni. Gli stessi Messicani -dopo il contatto con gli Spagnoli- chiamarono il frutto cabosse, parola che oggi indica anche il tempo della raccolta, quando il frutto cambia colore, divenendo, cioè, da verde rosso o da rosso arancio. Gli scrittori del tempo della Conquista notarono che le foglie della pianta erano alterne; che i fiori verdi o rossi comparivano direttamente sul tronco e anche sui vecchi rami; che i frutti erano bacche ovoidali lunghe fino a circa 15 cm, contenenti una quarantina di semi, disposti sempre in cinque file. Questi semi erano posti a fermentare, facendoli asciugare al sole o anche ammucchiandoli in fosse o in cesti aperti. Oggi i semi di cacao vengono immessi sui mercati in sacchi da circa 80 Kg. In base alla provenienza del prodotto, i semi di cacao, si dividono in: Cacao americano: il più apprezzato è quello messicano, ma viene coltivato anche in Venezuela, in Colombia, Guatemala e in Ecuador; molto ricercato è anche il Bahià coltivato in Brasile; Cacao asiatico: viene prodotto nello Sri Lanka (Ceylon) e a Giava; Cacao africano: particolarmente ricercata la qualità Akka, prodotta in Ghana, ma importanti sono anche le qualità coltivate in Camerun e in Madagascar. L'albero, anche se intensamente coltivato in Messico, al tempo della Conquista spagnola, è, come si è detto, con tutta probabilità, originario del bacino del Rio delle Amazzoni e della foresta tropicale brasiliana. Già gli Indios avevano imparato a polverizzarne i semi per ottenere quella che in Europa si chiamerà "cioccolata", "chocolate", "Schocolade", "chocolat" e simili. I popoli precolombiani del Messico e dell'America Centrale usavano impastare la polvere ottenuta macinando i semi con farina di mais, ricavandone una pasta densa che allungavano con poca acqua calda. Gli Spagnoli che conquistarono il Messico impararono ben presto a bere questo liquido scuro che sembrava dare forza ed energia insospettate: un cronista dell'epoca scrisse che "se privati (di esso) gli Indios sentono venirsi meno ed io stesso provai questo quando fui al Messico, perchè bevevo il cioccolato e mi piaceva e mi giovava assai e quasi mi pareva di non poter stare un giorno senza berne (....)" Oggi sappiamo che l'euforia data dal cioccolato ha basi scientifiche fondate: infatti, il cacao, oltre ad acqua, sostanze azotate, amido, zuccheri, grassi, tannino e cellulosa, contiene (come il caffè e il tè) un alcoide del gruppo delle purine che hanno un effetto psico analettico su chi le consuma. Nel cacao è presente soprattutto la teobromina, stimolante del sistema nervoso centrale. Inoltre, ha proprietà diuretiche e una azione vaso-dilatatrice. Gli effetti benefici dipendono chiaramente dalle dosi che si assumono, anche se sappiamo che Voltaire beveva non meno di una dozzina di tazze di cioccolata al giorno senza averne danno e che Napoleone si aiutava con "la bevanda bruna" (come la chiamava lui), quando era impegnato mentalmente. Il cacao, infatti, contiene anche fosforo: in 100 g ve ne sono 625 mg, molto più che nel pesce, che mediamente ne contiene 240 mg; è anche ricco di ferro (14 mg ogni 100 g), di calcio, magnesio e vitamine. Il seme del cacao contiene circa il 50% di grassi vari fra cui il cosiddetto "burro di cacao". Questa sostanza, formata da esteri degli acidi oleico e palmitico, ha il colore bianco-giallastro e sapore gradevole. Oltre che nella preparazione del cioccolato, il burro di cacao viene usato in farmacopea come eccipiente per pomate, supposte, ecc... e in cosmetica nella composizione di creme e rossetti.La cioccolata in tazza è un alimento bilanciato, con un contenuto del 35% di grassi vegetali, 16% in proteine, e 23% in idrati di carbonio. Essa è uno degli elementi fondamentali della dieta che gli scienziati della NASA -l'ente spaziale Americano- prescrivono agli astronauti. Può essere utile fare un cenno al bisogno energetico giornaliero di una persona adulta. Un uomo di corporatura normale, del peso di circa 70 kg, dovrebbe assumere ogni giorno circa 2500 calorie; se pratica uno sport impegnativo, il fabbisogno quotidiano può salire a circa 5000 calorie. Considerato che una tazza o una tavoletta di cioccolato hanno un apporto calorico nettamente superiore a quello, ad esempio, fornito dal pane o dalla carne di vitello; considerato anche che la teobromina possiede un'azione stimolante e corroborante, è facile capire come la cioccolata sia apprezzata dagli sportivi di tutto il mondo, quando necessitano di un apporto dietetico altamente energetico. Qualcuno, tuttavia, ha segnalato che la cioccolata in tazza può presentare degli inconvenienti di digeribilità. Bisogna precisare invece che il cacao rimane nello stomaco meno di 2 ore, mentre , ad esempio, il pane integrale vi rimane oltre 3 ore e una bistecca o dei fagiolini bolliti vi restano almeno 4 ore."
"SOFISTICAZIONI:
Uno degli elementi più importanti per fare del cioccolato un alimento buono per tutte le età e gradito a un numero sempre maggiore di consumatori è senz'altro la qualità. Il cacao utilizzato per la produzione, tanto artigianale che industriale, deve dunque essere assolutamente esente da sofisticazioni. Alcuni difetti o inconvenienti che spesso vengono attribuiti al cioccolato in sé, sono di fatto causati da qualche forma di adulterazione. Non bisognerebbe lasciarsi tentare dai prodotti sfusi e anonimi, che si presentano più facilmente di altri alle pur non frequenti sofisticazioni: quelli genuini costano, questo è vero, sempre un poco più, ma il prezzo è una garanzia di autenticità. Talora le adulterazioni (punite dalle legislazioni di tutte le nazioni civili) risalgono ai paesi produttori: il cioccolato infatti si presta facilmente ad essere manipolato. Una delle sostificazioni più in uso, ad esempio, l'aggiunta all'origine di grassi (come quelli di pesce o di palma), di margarina o di paraffina. Il cacao può inoltre essere aumentato artificialmente di peso aggiungendo al buon prodotto originario il risultato della macinazione delle bucce del cacao stesso, oppure può essere mescolato con la fecola di patate, olio di balena o zucchero in eccesso. Si tratta, come ognuno può comprendere, di vere e proprie frodi. Ci si difende solo acquistando prodotti di buona qualità, commercializzati da case produttrici di consolidata fama e controllando bene l'etichetta che segnala la provenienza. Nel caso si tratti di succedaneo, tale dicitura deve essere messa bene in evidenza, benché spesso la parola "surrogato" sia stampata in caratteri piccolissimi, illeggibili, proprio per sfuggire all'attenzione del consumatore e carpirne così la buona fede."
PRODUZIONE E RACCOLTA
"LA RACCOLTA DEI FRUTTI:
La raccolta avviene, come detto, quando i frutti maturano e cambiano colore; per staccarli si usa un machete affilato; in maturazione, il guscio che avvolge i semi tende più facilmente a distaccarsi. Anticamente, una volta raccolti, i semi venivano messi a fermentare, cosa che oggi non ha più luogo. Dopo essere stati puliti e selezionati, con prelievi a campione, i chicchi vengono immessi in sacchi e spediti alle aziende di trasformazione. Qui giunti, i sacchi vengono svuotati e i semi, a mezzo di nastri mobili, sono immagazzinati in silos differenziati secondo il paese di origine (perché chi si occupa delle miscele deve conoscere con esattezza le varie provenienze dei semi). Naturalmente, ogni industria ricerca miscele dal gusto che si suppone debba essere migliore di quello ottenuto da altri produttori. Per far questo, i vari tipi di cacao scendono -a mezzo di elaboratori predisposti- nelle proporzioni memorizzate e nelle quantità volute, per formare le miscele. I semi vengono "scaricati" nelle apparecchiature di tostatura in cui vengono torrefatti a 130°C e quindi essicati (a circa 80°C) per conservare meglio l'aroma. Se la buccia non si stacca da sola sollevandosi dalla polpa, una macchina prima rompe le scorze, poi le separa dalla parte interna (la cosiddetta "mandorla") che viene quindi lasciata fermentare in un ambiente caldo-umido cospargendola di una soluzione corbonato-alcalina. Successivamente le "mandorle" vengono macinate immettendole in un mulino a dischi rotanti che riducono la granella in una pasta semiliquida, nella quale il burro di cacao (che come detto corrisponde a circa il 50% del totale) viene fuso per effetto del calore provocato dalle mole stesse. La pasta fluida viene utilizzata per la preparazione del cacao in polvere, estraendone i componenti grassi con presse idrauliche e poi macinando ancora più finemente ciò che resta, aggiungendo zucchero (per la preparazione del cioccolato) e raffinando con macchine a cilindri multipli. La raffinazione del prodotto avviene in recipienti riscaldati a circa 80° C, in cui l'impasto è agitato lentamente e più a lungo se si vuole una pasta fine per il cioccolato. Durante la raffinazione, il saccarosio, in virtù del processo chimico detto idrolisi, diventa levulosio: tale fenomeno è sfruttato soprattutto nella preparazione delle paste fondenti, per conferire loro il caratteristico sapore. La pasta che esce dalla macchina raffinatrice viene immessa in speciali conche dove, per circa 48 ore, subisce un movimento rotatorio continuo e, sempre a caldo, i suoi componenti vengono definitivamente amalgamati e ossigenati, il che, fra l'altro, serve per espellere eventuali sgradevoli acidità. E' in questa fase di lavorazione -la cosiddetta "aromatizzazione del cioccolato" - che si possono aggiungere al prodotto altre sostanze come ad esempio vaniglia e lecitina di soia. Per la preparazione del cioccolato al latte viene aggiunto, alla pasta, latte condensato. Trascorse le 48 ore del "concaggio", il cioccolato, è dunque pronto per essere modellato secondo i desideri del produttore, che, naturalmente, rispecchiano quelli del consumatore. A questo scopo, ogni industria dispone di apposite "forme" che vengono riempite con l'impasto ancora caldo; gli stampi colmi vengono infine trasportati su piani vibranti, affinché eventuali bolle d'aria possano emergere in superficie e rompersi e quindi disposti in frigoriferi a raffreddare."
LA DIFFUSIONE DEL CIOCCOLATO
"LA BEVANDA DEI RE:
Il primo europeo ad avere conoscenza del cacao fu certamente Cristoforo Colombo, che, durante i suoi viaggi di scoperta, ebbe modo di vederne gli alberi e di assistere al rito -com'era allora considerato- dei "cacicchi" (i capi indigeni locali) che bevevano la polvere dei semi di questa pianta allungata con acqua calda. Ma Colombo non né apprezzò il sapore, né capì l'importanza commerciale del prodotto. Si deve (come abbiamo già detto) al conquistador Hernàn Cortés, che l'aveva gustato alla corte di Montezuma, l'introduzione del cacao in Spagna e, quindi, nel resto d'Europa. L'importanza attribuita al cacao dalle popolazioni centro-americane è ben illustrata da un'usanza che non mancò di stupire i conquistatori. I Maya non prendevano mai più di una moglie, ma potevano divorziare nel caso la consorte si fosse rivelata sterile o avesse dimenticato di preparare secondo le regole il quotidiano bagno di vapore al marito. In questo frangente -e anche quando venisse sorpresa in flagrante adulterio- la donna veniva processata e nella condanna, il capo villaggio dichiarava che -in qualità di colpevole- non avrebbe più "bevuto le tazze di cioccolata all'ombra del primo albero del mondo". Allo stupore nell'assistere ai riti quotidiani della "tazza di cioccolata" che dall'imperatore Montezuma all'ultimo dei suoi sudditi erano praticati nel Messico nella prima metà del Cinquecento, successe il desiderio di importare in Europa quei semi, la cui polvere, sciolta in acqua e corretta da spezie adatte, dava euforia, benessere e l'energia necessaria per affrontare i compiti di ogni giorno. Alla corte di Carlo V -che era il sovrano da cui dipendevano le nuove colonie americane dove attecchiva quella pianta -i semi di cacao venivano tostai e macinati, sciolti in acqua calda, addolciti con miele e frullati con un bastoncino per ottenere una bella schiuma; frequentemente i nobili spagnoli vi aggiungevano anche un rosso d'uovo ben sbattuto. Ma forse la cosa più curiosa fu che bere una tazza fumante di cioccolata divenne (o rimase?, poiché si stava ripetendo il rito che aveva luogo presso gli Aztechi) una vera e propria cerimonia; i nobili, gli hidalgos e le signore dell'aristocrazia sorbivano la cioccolata in tazza mentre i musici di corte suonavano romantiche ariee i ballerini eseguivano travolgenti danze. Dalla Spagna e dalla sua corte, come si è detto, la cioccolata si diffuse ben presto in tutta Europa e in particolare alla corte di Francia. Ma vediamo come avvenne questa prodigiosa diffusione di una bevanda che prima era completamente sconosciuta."
"IL CIOCCOLATO IN EUROPA:
Dopo la fortunosa e fortunata scoperta della pianta e dell'uso che gli Indios facevano dei semi triturati, gli Spagnoli iniziarono in Europa il commercio della pasta di cacao preparata nelle colonie, ma il prezzo elevatissimo ne limitò il consumo alle corti e alla più ricca nobiltà.
Eppure presto la nuova bevanda acquistò grande popolarità, anche per le visite che alti personaggi compivano alla corte spagnola, per il suo successo presso prelati e monaci e per il traffico che ne facevano i pirati che si impadronivano dei vascelli sulla rotta di ritorno dal Messico.
La bevanda fu ufficialmente introdotta alla corte francese quando Anna d'Austria -figlia di Filippo III Re di Spagna -sposò Luigi XIII di Francia.
Si tramanda, infatti, che la nuova sovrana avesse portato con sé, insieme al suo bagaglio, l'attrezzatura per preparare la cioccolata, che poteva, fra l'altro, essere usata da una sola damigella di corte, la sua preferita. Quando poi, cinquant'anni dopo fu celebrato il matrimonio fra Luigi XIV, il Re Sole, e Maria Teresa, anch'essa Infanta di Spagna, la sposa introdusse l'abitudine di bere cioccolata in tazza al risveglio e durante le udienze, ciò che dette massima popolarità alla bevanda venuta dal Nuovo Mondo.
Alla fine del Cinquecento erano in uso almeno una ventina di diverse ricette per la preparazione della cioccolata in tazza; ma non era una cosa semplice: c'era necessità di personale esperto ed era per questo che nel seguito delle regine venute dalla Spagna vi erano i "cioccolatieri", camerieri e cameriere addetti unicamente alla preparazione della bevanda di gran moda.
Alla corte francese, anche il cardinale Mazzarino fu un grande consumatore di cioccolata, così come lo era stato il suo celebre predecessore, il cardinale Richelieu, che la riteneva una bevanda miracolosa,
un toccasana per ogni malattia.Anche alle dipendenze del cardinale Mazzarino c'era un cuoco che doveva preoccuparsi di far trovare pronta una tazza fumante di cioccolata ogni qual volta il suo padrone ne sentiva la voglia. Il re Sole arrivò al punto di rilasciare ad un ufficiale della guardia della regina una "patente" per vendere e preparare in tutto il paese la polvere di cacao: ciò avvenne nel 1659 e la patente aveva la durata di trent'anni.All'università di Parigi, nel 1664, un certo Francois Foucault si laureò in medicina con una tesi sul cioccolato, che veniva considerato, oltre che alimento energetico, come farmaco per la cure delle malattie biliari.Ma ci furono anche voci contrarie. Ad esempio, Madame de Savigné -scrittrice francese della seconda metà del Seicento- inviò una celebre lettera alla figlia per metterla in guardia contro il consumo smodato di cioccolata, riferendo che una sua conoscente, per aver bevuto troppa cioccolata durante la gravidanza, aveva partorito un figlio di pelle nera morto poche ore dopo la nascita. Nel frattempo, la coltivazione dell'albero del cacao si stava estendendo anche nelle isole dei Caraibi ad opera degli Inglesi che lo facevano attecchire nella Martinica e in Giamaica.Fu poi la volta degli Olandesi a divenire i più grandi mercanti del mondo di semi di cacao; da abilissimi navigatori quali erano, riuscirono a togliere il monopolio del commercio del cacao agli Spagnoli con uno stratagemma. Il Re di Spagna, infatti, aveva concesso ai mercanti inglesi l'esclusiva della fornitura di schiavi negri alle colonie d'oltre Atlantico, per trent'anni. Gli Olandesi per aggirare questa concessione catturavano i negri in Africa e li scambiavano con i preziosi semi di cacao in America, in modo che, non facendosi pagare né oro né in argento, evitavano di infrangere l'editto reale.Il cacao era atteso, appena giungeva con le navi, non soltanto da coloro a cui piaceva la bevanda e potevano permettersela, ma anche -e soprattutto- da chi era afflitto dalle più varie malattie: si riteneva, infatti, che fosse un toccasana e i medici del tempo prescrivevano sempre più frequentemente cure a base di fumanti tazze di cioccolata.I più "refrattari" all'uso della cioccolata furono i Tedeschi, che però la accettarono verso la metà del Seicento, quando un letterato di nome Georg Volkammer,che l'aveva assaggiata in occasione di un viaggio in Italia, ne esaltò i pregi.Cent'anni dopo fu inaugurata in Francia la prima fabbrica di cioccolato; nel 1770, infatti, M. de Pellettier fondòla Compagnia francese del Cioccolato e del Tè.Negli stessi anni la coltivazione del cacao si diffondeva anche in Africa, soprattutto sugli altipiani, dove il clima mite permetteva una resa di grande soddisfazione per i coloni europei: la produzione in queste regioni raggiunse rapidamente quella americana.Nel frattempo venivano impiantati i primi stabilimenti di lavorazione del cioccolato in Svizzera. La prima fabbrica di cioccolato fu fondata a Vevey, nel 1819, da M. Cailler, il quale, però, aveva avuto una esperienza precedente a Torino, essendo stato impegnato nella lavorazione del cacao in una ditta che già allora prendeva nome dal suo imprenditore, Caffarel, e che è attiva tutt'ora. A Neuchatel -nella Svizzera occidentale- fu aperto, nel 1824, lo stabilimento Suchard, seguito poco dopo (1830) dalle aziende Lindt e Tobler, anche queste ancora oggi presenti sul mercato. Fu proprio a seguito degli esperimenti di Jean Tobler che si giunse alla preparazione del cioccolato al latte,immesso per la prima volta sul mercato nel 1870.Ma fu tuttavia merito particolare dell'imprenditore olandese Van Houten se rapidamente si diffuse in Europa la produzione di cacao in polvere solubile per la preparazione della cioccolata in tazza, così come la beviamo oggi.In Germania, il cioccolato fu considerato alla guisa di una rarità, e il suo costo, già alto a causa del trasporto da paesi lontani,era reso ancora più elevato da forti tasse.Gli Inglesi scoprirono la cioccolata quasi contemporaneamente ai Tedeschi, ma all'inizio, al rigido sistema di vita inglese sembrò trattarsi soltanto di una civetteria e di una mania di certe classi di nobili e di arricchiti. Poi però il suo consumo prese sempre più piede e si giunse in pochi anni ad aprire locali in cui si degustava praticamente soltanto questa bevanda. Questi posti "esclusivi" erano chiamati Chocolates Houses: i più famosi furono aperti a Londra e si chiamarono "White's" e "Cocoa Tree". Erano frequentati da artisti, scrittori, letterati e da quanti cercavano di essere alla pari, almeno nell'immagine esteriore, dei più celebrati dandies della capitale inglese.In Svizzera, intanto -dove il cioccolato avrebbe assunto un ruolo insospettato- il successo della nuova bevanda fu decretato da un ricevimento offerto dal borgomastro di Zurigo, Heinrich Hescher, che, di ritorno da un viaggio a Bruxelles, la fece gustare ai propri amici.Anche in Francia la cioccolata in tazza era divenuta una delle bevande considerate"alla moda", tant'è che già al tempo di Filippo d'Orleans, essere invitati alla cerimonia "del cioccolato" (cioè della colazione) era considerato segno di aver raggiunto una grande importanza presso chi veramente contava ed era perciò cosa ambitissimada tutti gli aristocratici."
"IL CIOCCOLATO IN ITALIA:
Il primo italiano a interessarsi della cioccolata fu un milanese, Girolamo Bensoni, che tentò di introdurre l'uso nel 1556 dopo un viaggio in Francia. Tuttavia, si deve al Fiorentino Fiorenzo Carletti (1573-1636), grande viaggiatore e commerciante, se anche da noi si imparò a bere la fumante bevanda già popolare Oltralpe. Carletti aveva compiuto un viaggio in America centrale dopo il 1591 e aveva visitato le piantagioni di cacao. Subito si era reso conto dei vantaggi che un commercio ben organizzato del cacao avrebbe potuto portare a chi avesse avuto l'intraprendenza di caricare navi con quei semi dal colore scuro, la cui polvere permetteva di preparare una bevanda di successo. In un suo testo il Carletti definisce il cacao come una pianta che produce
"un frutto tanto celebre e di tanta importanza" che in Bolivia e in Perù si consuma"per il valore di più di cinquecentomila scudi ogni anno. Questo frutto serve ancora di moneta per ispendere e comperarare sulle piazze cose minute".
Aggiunse ancora che
"il suo principale consumo si fa di una certa bevanda che gli indiani chiamano "cioccolata" la quale si fa mescolando dette frutte, che sono grosse come ghiande, con acqua calda e zucchero, e prima secche molto bene e bustolate al fuoco. Si disfanno sopra certe pietre, siccome noi vendamo disfare i colori alli pittori, fregando il pestello, che è anch'esso di pietra, per lo lungo sopra detta pietra piana e liscia; e così si viene a formare una pasta che disfatta nell'acqua serve di bevanda, e che s'usa comunemente bere per tutti i nativi del paese. E gli Spagnoli ed ogni altra nazione che vi vada una volta, ad essa si avvezzano e ne diventano così viziosi, che con difficoltà possono poi lasciarne di bere ogni mattina... "
Ma ancora lunga era la strada per una diffusione generale in tutta Italia. Le primissime "industrie" produttrici di cioccolato si ebbero a Venezia e a Firenze. Ma intanto a Roma, nel 1662, il cardinale Lorenzo Brancaccio discuteva sull'opportunità di bere una tazza di cioccolato dopo la messa, come era abitudine presso le dame che seguivano i costumi spagnoli. Ma accadde di più: ben presto, ai domestici in livrea che arrivavano in sagrestia con tazze fumanti colme della esotica bevanda, si sostituirono i monaci. Nelle cucine ombrose e silenziose dei monasteri costoro si dedicarono infatti alla preparazione del cioccolato in tazza, che acquisì ulteriore fama. Il vino era da tempo entrato nelle chiese, anche perché simbolo del sacrificio di Cristo, ora fu la volta del cacao. Ma ancora non si sapeva come produrre le tavolette di cioccolato, quelle che oggi usiamo per sollevarci dalle fatiche e per godere di un gusto e di un sapore veramente incantevoli. La prima tavoletta fu prodotta in Inghilterra nel 1820, ma fin da subito gli Inglesi ebbero una fiera rivalità con i Torinesi riguardo alla scoperta delle tecniche di solidificazione del cioccolato. Sembra infatti che un certo signor Bozelli (che però era di origini genovesi) avesse già nel 1802 sperimentato una macchina idraulica adatta a raffinare la polvere di cacao, impastandola poi con zucchero, vaniglia e acqua calda. Certamente Torino -era la città dove lavorava Bozelli- possiede un antichissima tradizione riferita alla produzione della cioccolata e dei cioccolatini, una fama che probabilmente deriva dalla presenza di raffinate pasticcerie che conservano celebri laboratori di cioccolato (frequenti anche nei paesi del comprensorio, ad esempio None o Luserna San Giovanni); sarebbe sufficiente fare i nomi di Streglio e Baratti, Feletti, Peyrano, Croci, per suscitare nel cuore di chi conosce Torino -ricordi piacevolissimi (caffè e pasticcerie in Corso Moncalieri, in Via Cernaia, in Piazza Castello, in Via Mazzini, in Corso Vittorio, in Via Avogadro, in Piazza San Carlo...) e per ribadire ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che Torino è la capitale del cioccolato. D'altra parte, se si ammette, universalmente che Torino è una città elegante e raffinata, non si può non ammettere che anche la cioccolata -ricordiamo ancora che gli Aztechi la ritenevano un "alimento degli dei" - rivela un mondo magico di gusto, profumo, dolcezza che trova forse la sua completa affermazione nella preparazione dei cioccolatini, soprattutto i celeberrimi gianduiotti. Naturalmente in questo primato ha giocato la sapienza dei produttori e la bontà delle materie prime usate, selezionatissime. Ci sono negozi a Torino, dove si può trovare una sessantina di varietà di cioccolatini, in cui ripieni praticamente perfetti sono avvolti in gusci di lucido cioccolato. Per gli amanti dei caffè storici, a Torino si suggerisce di recarsi in piazza Castello: qui, nella più antica delle confetterie cittadine si soffermavano anche il conte Cavour,ghiotto soprattutto di gianduiotti. Altri produttori presentano cioccolatini piccolissimi o freschissimi bignè ripieni rivestiti di cioccolato. Altri preparano panettoni farciti ricoperti di denso cioccolato o praline agli aromi più vari. A Torino giunse perfino un geniale pasticcere bavarese, Pfatisch, a cui si deve la creazione di straordinarie torte al cioccolato di raffinatezza unica: risalgono a questo eccezionale maestro della pasticceria i dischetti di meringa al cioccolato, la classica torta Montebianco, la torta Giunduia e il famosissimo "salame nizzardo" che è un impasto di cioccolato, panna, rum, crema e biscotti. D'altra parte, la tradizione piemontese ha radici ben antiche, se è vero che già Caterina d'Austria, figlia di Filippo II di Spagna e moglie di Carlo Emanuele I di Savoia, fu una grande consumatrice di cioccolata. Se dunque l'Italia, dopo la Spagna, era il Paese dove si ebbe la massima diffusione della cioccolata, il Piemonte, e Torino in particolare, erano i maggiori centri produttori, e tali rimasero per tutto l'Ottocento e fino all'inizio del Novecento. I maestri cioccolatieri torinesi ebbero il merito di aver messo a punto una pasta, detta "gianduia", in onore della più popolare maschera di Torino, in cui al cacao di provenienza d'oltreoceano venivanomescolate le ottime nocciole piemontesi. Come è più volte accaduto non solo per innovazioni gastronomiche, ma addirittura per importanti scoperte ed invenzioni, anche in questo caso l'"idea" del gianduia fu dovuta a una casualità. Infatti, a causa del blocco napoleonico, i cioccolatieri piemontesi non riuscivano a rifornirsi del cacao necessario a coprire le esigenze produttive: ebbero, allora, l'idea di "allungare" il cacao con le nocciole locali, molto economiche perché evitavano i lunghi trasporti e gli onerosi costi dei noli navali. Il primo "gianduiotto" fu prodotto dalla ditta Caffarel-Prochet nel 1865, quando ormai i timori per il blocco navale francese erano passati da tempo. Aveva allora il nome di givu , una parola dialettale che significa "cicca". La stabilizzazione e il deposito legale del nome "gianduia" avvennero nel 1867; oggi da ben oltre un secolo, il gianduiotto conserva le medesime forme e dimensioni del cioccolatino originale."
"ACQUISTO E CONSERVAZIONE:
Per poter valutare bene il rapporto fra qualità e prezzo del cioccolato -soprattutto fra i diversi tipi che si trovano in commercio- è sempre opportuno confrontare la percentuale di cacao dichiarata dal produttore sulla confezione: è da questa che, dopo tutto, dipende la denominazione del prodotto. Ma quante sono le qualità del cioccolato? Ecco una risposta fornita proprio dai produttori: cioccolato comune, cioccolato, cioccolato superiore o finissimo, cioccolato extra. E' necessario controllare l'indicazione della percentuale di cacao esistente nel preparato, perché, ad esempio, i tipi di cioccolato extra ne contengono circa il 45%, pur essendovene sul mercato anche tipi con percentuali maggiori e, pertanto, molto più pregiati. Naturalmente, sarà necessario controllare anche la data entro cui viene consigliato di consumare il cioccolato, mentre un segreto che ci viene svelato dagli intenditori di cioccolato è che un cioccolato di ottima qualità deve spezzarsi nettamente e non fondere sulla lingua senza impastarsi.Inoltre la superficie deve presentarsi del tutto liscia e compatta. Per la conservazione è bene sapere che l'imballo dovrà essere adeguato per tenere lontani luce, umidità e aria.Già questa è una precauzione che permette di conservarne il caratteristico aroma. Il cioccolato va conservato al fresco -sui 14-15°C- ma non deve essere messo in frigorifero, perché l'umidità del frigo potrebbe guastarlo e far diminuire l'aroma. Un cioccolato al latte, comunque, non dovrebbe essere consumato a più di un anno dalla data di produzione, mentre per il tipo fondente si può giungere fino a 18 mesi."
"CACAO E DERIVATI:
Cacao in polvere: si ottiene dalla macinazione dei panelli di cacao; deve contenere almeno il 20% di burro di cacao.Cacao magro in polvere: quando contiene almeno l'8% di burro di cacao.Cacao solubile: cacao in polvere sottoposto a trattamento con vapore d'acqua e carbonati.Cacao zuccherato in polvere: cacao in polvere miscelato con saccarosio e contenente almeno il 32% di cacao.Cioccolato comune: si ottiene dal cacao in pasta o in polvere o in granella con aggiunta di saccarosio ed eventualmente di burro di cacao. Deve contenere almeno il 30% di burro di cacao.Cioccolato fondente superiore o finissimo: quando contiene almeno il 43% di cacao.Cioccolato fondente extra: quando contiene almeno il 45% di cacao.Cioccolato al latte: quando vengono aggiunti latte o prodotti ottenuti dalla disidratazione del latte, eventualmente pana, burro o grassi burritici. Deve contenere almeno il 25% di cacao, il 14 % di sostanze derivate dal latte, il 3.5% di grassi butirrici. Il saccarosio non deve superare il 55%.Cioccolato al latte superiore o finissimo: quando contiene almeno il 30% di cacao, il 18% di sostanze derivate dal latte e il 4.5% di grassi butirrici.Cioccolato gianduia: ricavato da cioccolato (contenete almeno il 32% di cacao) e da nocciole macinate (20-40g ogni 100 g di prodotto) Si possono aggiungere mandorle, noci e nocciole a pezzetti.Cioccolato bianco: miscela di saccarosio (non più del 55%), burro di cacao (almeno il 20%), latte o derivati del latte disidratato (almeno il 14%) ed eventualmente crema. E' sempre vietato l'uso di coloranti (da cucina naturale n.48 , 1992)"
IL CIOCCOLATO
mito e storia di un celebre
e raffinato alimento
Marco Menabuoni
Nardini Editore
...non potete immaginare l'acquolina
scaturita dopo aver voracemente letto le ricette,
tutte rigorosamente a base di cioccolato, ovviamente.
Voglio preparare una ciambella soffice con cacao amaro:
Ai fornelli!!
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