martedì 20 giugno 2017

"GALATEA ed ACI"

Confettura di Albicocche

..."Figlio di un Fauno e di una ninfa del Simeto,
Aci era la gioia di suo padre e di sua madre e ancor di più la mia:
esclusivamente a me si era legato. 
Era bello, aveva compiuto sedici anni
e aveva le tenere guance appena coperte da un’incerta peluria.
Io non desideravo che lui e il Ciclope invece perseguitava me.
Se mi chiedessi se in me fosse più grande l’odio per il Ciclope o l’amore per Aci,
non saprei dirtelo: erano due sentimenti ugualmente forti.
Come è grande la tua potenza, o alma Venere!"...
                                                                                                                           (OVIDIO, Metamorfosi)


INGREDIENTI (per circa 5 kg di confettura)
  • Per la confettura
  • 4.00 kg di albicocche (snocciolate)
  • 1.40 kg di zucchero semolato
  • 2      limoni
PREPARAZIONE

Per la confettura
Per preparare la nostra confettura dobbiamo scegliere delle albicocche mature e di buona qualità, se ne avete la possibilità quelle del Salento, di Galatone, la Cultivar Galatea.
Dopo aver lavato le albicocche le ho private del nocciolo e tagliate in quattro parti.
Le ho messe in una pentola capiente ed ho unito il succo di due limoni. 
Prima di spremere i limoni ho grattugiato la buccia e messa anch'essa in pentola con la polpa di albicocca.
Ho acceso il fornello a fuoco medio e, a metà cottura, ho unito lo zucchero.
Evito la temperatura eccessiva e per tempi lunghi.

La conservabilità della confettura è data da una buona percentuale di zucchero,
e da un ridotto ph della confettura stessa. 
Otteniamo un ph soddisfacente con l'aggiunta del limone (1/2 limone ogni chilo di frutta). 

L'aggiunta dello zucchero a metà cottura è per evitare la caramellizzazione dello zucchero stesso che donerebbe, alla confettura, un colore più brunito.
Inoltre ho imparato ad evitare di macerare la frutta prima di portarla in cottura perché,
così facendo, ottenevo maggior liquido che poi deve essere eliminato allungando
i tempi di cottura.
L'eccessiva concentrazioni di liquido aiuta la proliferazione dei batteri
e quindi danneggia la confettura.

Un altro elemento che mi aiuta nella buona riuscita sono i semi.
Durante la cottura metto in pentola dei semi di limone e di mela
avvolti e legati in una garza di cotone.
I semi, di agrumi e di mela verde, contengono alte percentuali di pectina
che viene rilasciata in fase di cottura.
Prima di frullare  la preparazione vado a togliere, dalla pentola,
il sacchetto di semi ovviamente.

Quando la confettura mi appare pronta la frullo con il frullatore ad immersione. 
La cottura è perfetta quando siamo a 110°C circa e comunque quando messe alcune gocce di confettura su un piano di marmo, o di acciaio, le gocce rimangono compatte e non rilasciano acqua in eccesso. 
Porto il fuoco al minimo e invaso velocemente con l'aiuto di un imbuto.
Chiudo i vasetti con le capsule e li capovolgo su un piano di legno.
Già dopo poco è possibile capovolgere i vasi e verificare la presenza del sottovuoto.
Quando sono freddi li metto in lavastoviglie ed eseguo un lavaggio breve a 65°C in modo da pastorizzare ogni vasetto.
Una volta freddi su ogni vaso metto l'etichetta.

    
Quest'anno mi sono sbizzarrita con esperimenti:
- Al rosmarino
- Alla menta
- Al pepe nero
- Allo zenzero

Al rosmarino
Perfetto da gustare con formaggi stagionati, serviti su un bel tagliere di legno.
Altro non si deve fare che unire, da subito, qualche rametto lavato di rosmarino e toglierlo dalla confettura prima di frullarla.
La quantità di spezie/erbe è, secondo me, dettata dal buon senso e dal gusto personale. 
Io, per quattro chili di frutta, ho messo cinque rametti di rosmarino fresco.

Alla menta 
Inusuale ma fresca, adatta per una merenda.
Anche in questo caso ho unito da subito qualche rametto di menta fresca, avendo cura di toglierla prima di frullare.

Al pepe nero
Per molti ma non per tutti!
Ho aggiunto del pepe macinato in caduta termica, ovvero poco prima di invasare, e per richiamarne il ricordo all'occhio, ho messo in ogni vasetto 3 chicchi di pepe nero.
La quantità? Io sono stata davvero parsimoniosa, il pepe non deve essere poco ma nemmeno troppo. Deve essere un ricordo lontano, che arriva da Oriente, appena percettibile: per molti appunto, ma non per tutti!

Allo zenzero
Che dire, io lo zenzero lo metterei ovunque, ovviamente fresco e grattugiato già ad inizio cottura. Se preferite in polvere sarà importante capire la giusta quantità e in questo caso è preferibile introdurlo in caduta termica.


CONSERVAZIONE/SERVIRE

I vasetti vanno conservati in dispensa, preferibilmente al riparo dal caldo e dalla luce.
E' preferibile consumarli entro 12 mesi.
Il vasetto, una volta aperto, va conservato in frigorifero e consumato entro pochi giorni.


..."O Galatea, più candida dei petali del niveo ligustro, più fiorente dei prati,
più slanciata di un esile ontano, più splendente del cristallo,
più vivace di un tenero capretto,
più liscia delle conchiglie levigate dal continuo moto delle onde,
più gradita del sole in inverno e dell’ombra d’estate, più eccellente della frutta,
più maestosa di un alto platano, più trasparente del ghiaccio, più dolce dell’uva matura, più morbida delle piume del cigno e del latte cagliato
e più bella di un giardino irrigato,
se non mi fuggissi!"
                                                                                                                                                         (OVIDIO, Metamorfosi)


si narra che i Templari portarono, direttamente dall'Oriente,
le albicocche in Puglia, a Galatone,
un piccolo centro della provincia di Lecce,
snodo commerciale fra il nord ed il sud della Puglia stessa.
Albicocca tanto rara e quanto mai preziosa da essere definita
cultivar Galatea
(coltivazione candida)

Oggi presidio Slow Food
Albicocche vero e proprio tesoro del Salento.
Era costume fra i coltivatori del tempo innescare le albicocche su un mandorlo
anziché su un susino, pratica che ha reso questa qualità più longeva,
la varietà Galatone comincia a dare frutti dopo tre anni dal suo innesto
e fruttifica sino ad oltre cinquant'anni.

Albicocca che si presenta precoce,
piccola e dalla buccia con screziature simili a lentiggini,
con un profumo intenso, dolce e dalla consistenza morbida
che si scioglie letteralmente in bocca.
Delicata da manipolare e trasportare

Si narra inoltre che fu San Luca a dipingere la superficie delle albicocche,
così ricca di sfumature, screziata, punteggiata vicino al peduncolo.


Ci si rifà di nuovo ad una ninfa:
Galatea
la ninfa del mare, bellissima dalla pelle bianca come il latte.
Si narra di Aci, giovane pastorello che pascolava vicino al mare
vide Galatea e se ne innamorò, l'amore fu ovviamente ricambiato.
Polifemo, il ciclope che abitava il vulcano,
perdutamente innamorato della ninfa,
una sera li vide baciarsi.
La sua gelosia lo accecò.
Lasciò che Galatea si tuffo in mare per scagliare una parte di montagna
contro il giovane pastorello e schiacciarlo.
Gli dei ebbero pena del loro amore, gli permisero di mutare,
dal masso colò sangue cupo che ben presto prese a schiarire.
Il masso si spaccò, dalla gola della roccia emerse un giovane
completamente azzurro di aspetto,
sì un fiume che a tutt'oggi conserva il nome: Aci.
Le nove terre che attraversava portano a tutt'oggi il suo nome:
Aci Castello, Aci Trezza, Aci Reale, ...



Un giorno Galatea, mentre le offriva la chioma da pettinare,
sospirando dal profondo del cuore, le fece questo discorso:

"Tu almeno, fanciulla, sei desiderata da uomini civili
e puoi negarti a loro, come fai, senza timore.
Ma io, che pure sono figlia di Nèreo, partorita
dalla cerulea Dòride, che ho alle spalle uno stuolo di sorelle,
solo a prezzo di grandi sofferenze ho potuto sottrarmi
alla passione del Ciclope".

E il pianto le impedì di continuare.
La fanciulla glielo deterse con le dita bianche come il marmo
e, dopo averla consolata:

 "Racconta, carissima," 
le disse
"e non celarmi (di me puoi fidarti) la causa del tuo dolore".
Allora la Nereide così rispose alla figlia di Cratèide:

"Aci era figlio di Fauno e di una ninfa nata in riva al Simeto:
delizia grande di suo padre e di sua madre,
ma ancor più grande per me; l'unico che a sé mi abbia legata.
Bello, aveva appena compiuto sedici anni
e un'ombra di peluria gli ombreggiava le tenere guance.
Senza fine io spasimavo per lui, il Ciclope per me.
Se tu mi chiedessi cosa prevaleva in me, l'odio
per il Ciclope o l'amore per Aci, non saprei rispondere:
non c'era differenza. Oh, quanto è il potere del tuo dominio,
divina Venere! Quell'essere crudele, ripugnante
persino alle selve, che solo a rischio della propria vita
può un estraneo avvicinare, che spregia l'Olimpo e i suoi numi,
ecco che prova cosa sia l'amore e, preso da violenta smania,
brucia, dimenticandosi delle sue greggi e delle sue caverne.
E ti preoccupi del tuo aspetto, di piacere,
Polifemo, di pettinarti i ruvidi capelli;
pensi che sia giusto tagliarti l'ispida barba con un falcetto
e specchiare nell'acqua il viso per studiare un'aria meno truce.
Il gusto della strage, la ferocia e la sete immensa di sangue
svaniscono; le navi vanno e vengono sicure.
Un giorno Tèlemo, sospinto fin sotto l'Etna in Sicilia,
Tèlemo, figlio di Èurimo, che mai fallì un presagio,
va dal terribile Polifemo e gli dice: "Quest'unico occhio
che porti in mezzo alla fronte, te lo caverà Ulisse".
Lui ride. "O stupidissimo indovino, ti sbagli" risponde, "un'altra
creatura mi ha già accecato". Così disprezza chi invano lo avverte
svelandogli la verità, e a passi enormi camminando
preme la spiaggia o torna, quando è stanco, nel suo antro buio.
C'è un colle che si protende nel mare come un cuneo aguzzo;
su entrambi i suoi lunghi lati s'infrangono le onde marine.
Il feroce Ciclope vi sale e s'adagia sulla cima;
pur lasciato a sé stesso, lo segue un gregge di pecore.
Quando ai propri piedi ebbe posato il pino che gli serviva
da bastone, un pino che avrebbe ben potuto reggere pennoni,
prese una zampogna composta da un centinaio di canne,
e tutti i monti allora risonarono di note pastorali,
ne risonò persino il mare. Io nascosta dietro una rupe,
rannicchiata sul seno del mio Aci, colsi di lontano
il suo canto, di cui ricordo ancora le parole:

"O Galatea, più candida di un candido petalo di ligustro,
più in fiore di un prato, più slanciata di un ontano svettante,
più splendente del cristallo, più gaia di un capretto appena nato,
più liscia di conchiglie levigate dal flusso del mare,
più gradevole del sole in inverno, dell'ombra d'estate,
più amabile dei frutti, più attraente di un platano eccelso,
più luminosa del ghiaccio, più dolce dell'uva matura,
più morbida di una piuma di cigno e del latte cagliato,
e, se tu non fuggissi, più bella di un orto irriguo;
ma ancora, Galatea, più impetuosa di un giovenco selvaggio,
più dura di una vecchia quercia, più infida dell'onda,
più sgusciante dei virgulti del salice e della vitalba,
più insensibile di questi scogli, più violenta di un fiume,
più superba del pavone che si gonfia, più furiosa del fuoco,
più aspra delle spine, più ringhiosa dell'orsa che allatta,
più sorda dei marosi, più spietata di un serpente calpestato,
e, cosa che più d'ogni altra vorrei poterti togliere,
più veloce, quando fuggi, non solo del cervo incalzato
dall'urlo dei latrati, ma del vento che soffia impetuoso!
Ma, se mi conoscessi meglio, ti pentiresti d'esser fuggita
e, cercando di trattenermi, condanneresti il tempo perduto.
Posseggo una grotta, in una parte del monte, con la volta
di roccia viva, dove non si soffre il sole in piena estate
o il gelo d'inverno. Ho alberi carichi di frutta
e, sui lunghi tralci del vigneto, un'uva che sembra d'oro,
e un'altra color porpora: per te le serbo entrambe.
Con le tue mani potrai cogliere succose fragole,
nate all'ombra dei boschi, corniole in autunno e prugne,
non solo quelle violacee dal succo scuro,
ma quelle pregiate che sembrano di cera fresca.
Se mi sposerai, non ti mancheranno le castagne,
i frutti del corbezzolo: ogni pianta sarà al tuo servizio.
Tutto questo bestiame è mio; molto altro vaga per le valli,
molto si nasconde nel bosco e molto ancora è chiuso nelle grotte.
Se tu me lo chiedessi, non saprei dirtene il numero.
Solo i poveri contano le bestie. Sulla loro qualità
non pretendo che tu mi creda: vieni sul posto e vedrai da te
come a stento stringano tra le zampe poppe così gonfie.
E aggiungi i piccoli appena nati, agnelli in tiepidi ovili,
capretti della stessa età in altri ovili.
Da me non manca mai il niveo latte: parte è destinato
al bere, parte si fa rapprendere sciogliendovi il caglio.
E i regali che riceverai non saranno i soliti
fatui trastulli, come cerbiatti, lepri o capretti,
una coppia di colombi o un nido tolto dalla cima di un albero.
In vetta alla montagna, perché possano con te giocare,
ho scovato due cuccioli d'orsa villosa,
così simili fra loro, che a stento sarai in grado di distinguerli;
li ho scovati e ho pensato: 'Questi li terrò per la mia donna'.
Avanti, solleva il tuo bel capo dal mare azzurro,
avanti, vieni, Galatea, e non spregiare i miei regali.
Io mi conosco, sai, poco fa in uno specchio d'acqua mi son visto
riflesso e ciò che ho visto del mio aspetto mi ha soddisfatto.
Osserva quanto son grande: neppure Giove in cielo ha un corpo
grande come il mio (voi parlate sempre che lì regna
un non so quale Giove). Una chioma foltissima mi spiove
sul volto truce e mi vela d'ombra le spalle, come un bosco.
E non credere brutto che il mio corpo irto sia tutto di fittissime
e dure setole; brutto è l'albero senza fronde, brutto
il cavallo senza criniera che gli ammanti il biondo collo;
piume ricoprono gli uccelli, beltà delle pecore è la lana:
agli uomini si addicono la barba e il pelo ispido sul corpo.
Ho un occhio solo in mezzo alla fronte, ma a un grande scudo
lui assomiglia. E poi? Dall'alto del cielo il Sole non vede
tutto l'universo? Eppure anche lui ha un occhio solo.
Aggiungi che mio padre è il re del vostro mare:
io te l'offro come suocero. Abbi solo un po' di pietà e ascolta,
ti supplico, le mie preghiere: a te sola mi sono prosternato.
Io che disprezzo Giove, il cielo e il fulmine che tutto penetra,
temo solo te, Nereide: peggiore del fulmine è l'ira tua.
Ma persino il tuo disprezzo potrei io sopportare,
se rifiutassi tutti. Perché invece respingi il Ciclope
e ami Aci? Perché ai miei amplessi preferisci i suoi?
Che lui si compiaccia pure di sé stesso e, cosa che non vorrei,
piaccia anche a te, Galatea; ma se capita l'occasione,
sentirà come corrisponde a questo corpo immenso la mia forza.
Lo squarterò vivo e per i campi, sopra le acque in cui vivi
a brandelli scaglierò le sue membra: e s'unisca a te se gli riesce!
Brucio, brucio, e la mia passione offesa più indomabile divampa,
mi sembra che con tutte le sue forze l'Etna
mi sia entrato in petto: ma tu, Galatea, non ti commuovi!"

Dopo questi vani lamenti (nulla mi sfuggiva)
si alzò e, come il toro furibondo per il ratto della compagna
non può star fermo, si mise a vagare per boschi e forre a lui noti.
Così quell'essere feroce, senza che ce l'aspettassimo,
ci sorprese ignari, me ed Aci, e urlò:

"Vi ho colto:
questo, state certi, sarà l'ultimo vostro convegno d'amore!".

E la sua voce fu così assordante, come è giusto che l'avesse
un Ciclope infuriato: un urlo che terrorizzò persino l'Etna.
Io sgomenta mi tuffo sott'acqua, nel mare lì vicino;
il nipote del Simeto, voltate le spalle, fuggiva
gridando: 

"Aiutami, Galatea, ti prego; aiutatemi, aiutatemi,
genitori miei, ma se mancassi, accoglietemi nel vostro regno!"

Il Ciclope l'insegue e, staccato un pezzo di monte,
glielo scaglia contro: benché soltanto lo spigolo esterno
del masso lo colpisca, Aci ne viene del tutto travolto.
Noi, unica cosa che permetteva il destino, facemmo in modo
che in Aci riaffiorasse la natura avita.
Ai piedi del masso colava un sangue rosso cupo:
non passa molto tempo che il rosso comincia a impallidire,
prima assume il colore di un fiume reso torbido dalla pioggia,
poi lentamente si depura. Infine il macigno si fende
e dalle fessure spuntano canne fresche ed alte,
mentre la bocca apertasi nel masso risuona d'acqua a zampilli.
È un prodigio: all'improvviso ne uscì sino alla vita
un giovane con due corna nuovissime inghirlandate di canne,
che, se non fosse stato così grande e col volto ceruleo,
Aci sarebbe stato. Ma anche così era Aci mutato in fiume,
un fiume che conservò il suo antico nome".

Galatea aveva finito il suo racconto.
Le Nereidi, sciolto il convegno, 
si allontanano nuotando nelle onde tranquille.

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