"GALATEA ed ACI"
Confettura di Albicocche
..."Figlio di un Fauno e di una ninfa del Simeto,
Aci era la gioia di suo padre e di sua madre e ancor di più la mia:
esclusivamente a me si era legato.
Era bello, aveva compiuto sedici anni
e aveva le tenere guance appena coperte da un’incerta peluria.
Io non desideravo che lui e il Ciclope invece perseguitava me.
Se mi chiedessi se in me fosse più grande l’odio per il Ciclope o l’amore per Aci,
non saprei dirtelo: erano due sentimenti ugualmente forti.
Come è grande la tua potenza, o alma Venere!"...
(OVIDIO, Metamorfosi)
INGREDIENTI (per circa 5 kg di confettura)
-
Per la confettura
-
4.00 kg di albicocche (snocciolate)
-
1.40 kg di zucchero semolato
-
2 limoni
PREPARAZIONE
Per la confettura
Per preparare la nostra confettura dobbiamo scegliere delle albicocche mature e di buona qualità, se ne avete la possibilità quelle del Salento, di Galatone, la Cultivar Galatea.
Dopo aver lavato le albicocche le ho private del nocciolo e tagliate in quattro parti.
Le ho messe in una pentola capiente ed ho unito il succo di due limoni.
Prima di spremere i limoni ho grattugiato la buccia e messa anch'essa in pentola con la polpa di albicocca.
Ho acceso il fornello a fuoco medio e, a metà cottura, ho unito lo zucchero.
Evito la temperatura eccessiva e per tempi lunghi.
La conservabilità della confettura è data da una buona percentuale di zucchero,
e da un ridotto ph della confettura stessa.
Otteniamo un ph soddisfacente con l'aggiunta del limone (1/2 limone ogni chilo di frutta).
L'aggiunta dello zucchero a metà cottura è per evitare la caramellizzazione dello zucchero stesso che donerebbe, alla confettura, un colore più brunito.
Inoltre ho imparato ad evitare di macerare la frutta prima di portarla in cottura perché,
così facendo, ottenevo maggior liquido che poi deve essere eliminato allungando
i tempi di cottura.
L'eccessiva concentrazioni di liquido aiuta la proliferazione dei batteri
e quindi danneggia la confettura.
Un altro elemento che mi aiuta nella buona riuscita sono i semi.
Durante la cottura metto in pentola dei semi di limone e di mela
avvolti e legati in una garza di cotone.
I semi, di agrumi e di mela verde, contengono alte percentuali di pectina
che viene rilasciata in fase di cottura.
Prima di frullare la preparazione vado a togliere, dalla pentola,
il sacchetto di semi ovviamente.
Quando la confettura mi appare pronta la frullo con il frullatore ad immersione.
La cottura è perfetta quando siamo a 110°C circa e comunque quando messe alcune gocce di confettura su un piano di marmo, o di acciaio, le gocce rimangono compatte e non rilasciano acqua in eccesso.
Porto il fuoco al minimo e invaso velocemente con l'aiuto di un imbuto.
Chiudo i vasetti con le capsule e li capovolgo su un piano di legno.
Già dopo poco è possibile capovolgere i vasi e verificare la presenza del sottovuoto.
Quando sono freddi li metto in lavastoviglie ed eseguo un lavaggio breve a 65°C in modo da pastorizzare ogni vasetto.
Una volta freddi su ogni vaso metto l'etichetta.
Quest'anno mi sono sbizzarrita con esperimenti:
- Al rosmarino
- Alla menta
- Al pepe nero
- Allo zenzero
Al rosmarino
Perfetto da gustare con formaggi stagionati, serviti su un bel tagliere di legno.
Altro non si deve fare che unire, da subito, qualche rametto lavato di rosmarino e toglierlo dalla confettura prima di frullarla.
La quantità di spezie/erbe è, secondo me, dettata dal buon senso e dal gusto personale.
Io, per quattro chili di frutta, ho messo cinque rametti di rosmarino fresco.
Alla menta
Inusuale ma fresca, adatta per una merenda.
Anche in questo caso ho unito da subito qualche rametto di menta fresca, avendo cura di toglierla prima di frullare.
Al pepe nero
Per molti ma non per tutti!
Ho aggiunto del pepe macinato in caduta termica, ovvero poco prima di invasare, e per richiamarne il ricordo all'occhio, ho messo in ogni vasetto 3 chicchi di pepe nero.
La quantità? Io sono stata davvero parsimoniosa, il pepe non deve essere poco ma nemmeno troppo. Deve essere un ricordo lontano, che arriva da Oriente, appena percettibile: per molti appunto, ma non per tutti!
Allo zenzero
Che dire, io lo zenzero lo metterei ovunque, ovviamente fresco e grattugiato già ad inizio cottura. Se preferite in polvere sarà importante capire la giusta quantità e in questo caso è preferibile introdurlo in caduta termica.
CONSERVAZIONE/SERVIRE
I vasetti vanno conservati in dispensa, preferibilmente al riparo dal caldo e dalla luce.
E' preferibile consumarli entro 12 mesi.
Il vasetto, una volta aperto, va conservato in frigorifero e consumato entro pochi giorni.
più slanciata di un esile ontano, più splendente del cristallo,
più vivace di un tenero capretto,
più liscia delle conchiglie levigate dal continuo moto delle onde,
più gradita del sole in inverno e dell’ombra d’estate, più eccellente della frutta,
più maestosa di un alto platano, più trasparente del ghiaccio, più dolce dell’uva matura, più morbida delle piume del cigno e del latte cagliato
e più bella di un giardino irrigato,
se non mi fuggissi!"
(OVIDIO, Metamorfosi)
si narra che i Templari portarono, direttamente dall'Oriente,
le albicocche in Puglia, a Galatone,
un piccolo centro della provincia di Lecce,
snodo commerciale fra il nord ed il sud della Puglia stessa.
Albicocca tanto rara e quanto mai preziosa da essere definita
cultivar Galatea
(coltivazione candida)
Oggi presidio Slow Food
Albicocche vero e proprio tesoro del Salento.
Era costume fra i coltivatori del tempo innescare le albicocche su un mandorlo
anziché su un susino, pratica che ha reso questa qualità più longeva,
la varietà Galatone comincia a dare frutti dopo tre anni dal suo innesto
e fruttifica sino ad oltre cinquant'anni.
Albicocca che si presenta precoce,
piccola e dalla buccia con screziature simili a lentiggini,
con un profumo intenso, dolce e dalla consistenza morbida
che si scioglie letteralmente in bocca.
Delicata da manipolare e trasportare
Si narra inoltre che fu San Luca a dipingere la superficie delle albicocche,
così ricca di sfumature, screziata, punteggiata vicino al peduncolo.
Ci si rifà di nuovo ad una ninfa:
Galatea
la ninfa del mare, bellissima dalla pelle bianca come il latte.
Si narra di Aci, giovane pastorello che pascolava vicino al mare
vide Galatea e se ne innamorò, l'amore fu ovviamente ricambiato.
Polifemo, il ciclope che abitava il vulcano,
perdutamente innamorato della ninfa,
una sera li vide baciarsi.
La sua gelosia lo accecò.
Lasciò che Galatea si tuffo in mare per scagliare una parte di montagna
contro il giovane pastorello e schiacciarlo.
Gli dei ebbero pena del loro amore, gli permisero di mutare,
dal masso colò sangue cupo che ben presto prese a schiarire.
Il masso si spaccò, dalla gola della roccia emerse un giovane
completamente azzurro di aspetto,
sì un fiume che a tutt'oggi conserva il nome: Aci.
Le nove terre che attraversava portano a tutt'oggi il suo nome:
Aci Castello, Aci Trezza, Aci Reale, ...
Un
giorno Galatea, mentre le offriva la chioma da pettinare,
sospirando
dal profondo del cuore, le fece questo discorso:
"Tu
almeno, fanciulla, sei desiderata da uomini civili
e puoi
negarti a loro, come fai, senza timore.
Ma io,
che pure sono figlia di Nèreo, partorita
dalla
cerulea Dòride, che ho alle spalle uno stuolo di sorelle,
solo a
prezzo di grandi sofferenze ho potuto sottrarmi
alla
passione del Ciclope".
E il pianto le impedì di continuare.
La
fanciulla glielo deterse con le dita bianche come il marmo
e,
dopo averla consolata:
"Racconta, carissima,"
le disse
"e
non celarmi (di me puoi fidarti) la causa del tuo dolore".
Allora
la Nereide così rispose alla figlia di Cratèide:
"Aci
era figlio di Fauno e di una ninfa nata in riva al Simeto:
delizia
grande di suo padre e di sua madre,
ma
ancor più grande per me; l'unico che a sé mi abbia legata.
Bello,
aveva appena compiuto sedici anni
e
un'ombra di peluria gli ombreggiava le tenere guance.
Senza
fine io spasimavo per lui, il Ciclope per me.
Se tu
mi chiedessi cosa prevaleva in me, l'odio
per il
Ciclope o l'amore per Aci, non saprei rispondere:
non
c'era differenza. Oh, quanto è il potere del tuo dominio,
divina
Venere! Quell'essere crudele, ripugnante
persino
alle selve, che solo a rischio della propria vita
può
un estraneo avvicinare, che spregia l'Olimpo e i suoi numi,
ecco
che prova cosa sia l'amore e, preso da violenta smania,
brucia,
dimenticandosi delle sue greggi e delle sue caverne.
E ti
preoccupi del tuo aspetto, di piacere,
Polifemo,
di pettinarti i ruvidi capelli;
pensi
che sia giusto tagliarti l'ispida barba con un falcetto
e
specchiare nell'acqua il viso per studiare un'aria meno truce.
Il
gusto della strage, la ferocia e la sete immensa di sangue
svaniscono;
le navi vanno e vengono sicure.
Un
giorno Tèlemo, sospinto fin sotto l'Etna in Sicilia,
Tèlemo,
figlio di Èurimo, che mai fallì un presagio,
va dal
terribile Polifemo e gli dice: "Quest'unico occhio
che
porti in mezzo alla fronte, te lo caverà Ulisse".
Lui
ride. "O stupidissimo indovino, ti sbagli" risponde,
"un'altra
creatura
mi ha già accecato". Così disprezza chi invano lo avverte
svelandogli
la verità, e a passi enormi camminando
preme
la spiaggia o torna, quando è stanco, nel suo antro buio.
C'è
un colle che si protende nel mare come un cuneo aguzzo;
su
entrambi i suoi lunghi lati s'infrangono le onde marine.
Il
feroce Ciclope vi sale e s'adagia sulla cima;
pur
lasciato a sé stesso, lo segue un gregge di pecore.
Quando
ai propri piedi ebbe posato il pino che gli serviva
da
bastone, un pino che avrebbe ben potuto reggere pennoni,
prese
una zampogna composta da un centinaio di canne,
e
tutti i monti allora risonarono di note pastorali,
ne
risonò persino il mare. Io nascosta dietro una rupe,
rannicchiata
sul seno del mio Aci, colsi di lontano
il suo
canto, di cui ricordo ancora le parole:
"O
Galatea, più candida di un candido petalo di ligustro,
più
in fiore di un prato, più slanciata di un ontano svettante,
più
splendente del cristallo, più gaia di un capretto appena nato,
più
liscia di conchiglie levigate dal flusso del mare,
più
gradevole del sole in inverno, dell'ombra d'estate,
più
amabile dei frutti, più attraente di un platano eccelso,
più
luminosa del ghiaccio, più dolce dell'uva matura,
più
morbida di una piuma di cigno e del latte cagliato,
e, se
tu non fuggissi, più bella di un orto irriguo;
ma
ancora, Galatea, più impetuosa di un giovenco selvaggio,
più
dura di una vecchia quercia, più infida dell'onda,
più
sgusciante dei virgulti del salice e della vitalba,
più
insensibile di questi scogli, più violenta di un fiume,
più
superba del pavone che si gonfia, più furiosa del fuoco,
più
aspra delle spine, più ringhiosa dell'orsa che allatta,
più
sorda dei marosi, più spietata di un serpente calpestato,
e,
cosa che più d'ogni altra vorrei poterti togliere,
più
veloce, quando fuggi, non solo del cervo incalzato
dall'urlo
dei latrati, ma del vento che soffia impetuoso!
Ma, se
mi conoscessi meglio, ti pentiresti d'esser fuggita
e,
cercando di trattenermi, condanneresti il tempo perduto.
Posseggo
una grotta, in una parte del monte, con la volta
di
roccia viva, dove non si soffre il sole in piena estate
o il
gelo d'inverno. Ho alberi carichi di frutta
e, sui
lunghi tralci del vigneto, un'uva che sembra d'oro,
e
un'altra color porpora: per te le serbo entrambe.
Con le
tue mani potrai cogliere succose fragole,
nate
all'ombra dei boschi, corniole in autunno e prugne,
non
solo quelle violacee dal succo scuro,
ma
quelle pregiate che sembrano di cera fresca.
Se mi
sposerai, non ti mancheranno le castagne,
i
frutti del corbezzolo: ogni pianta sarà al tuo servizio.
Tutto
questo bestiame è mio; molto altro vaga per le valli,
molto
si nasconde nel bosco e molto ancora è chiuso nelle grotte.
Se tu
me lo chiedessi, non saprei dirtene il numero.
Solo i
poveri contano le bestie. Sulla loro qualità
non
pretendo che tu mi creda: vieni sul posto e vedrai da te
come a
stento stringano tra le zampe poppe così gonfie.
E
aggiungi i piccoli appena nati, agnelli in tiepidi ovili,
capretti
della stessa età in altri ovili.
Da me
non manca mai il niveo latte: parte è destinato
al
bere, parte si fa rapprendere sciogliendovi il caglio.
E i
regali che riceverai non saranno i soliti
fatui
trastulli, come cerbiatti, lepri o capretti,
una
coppia di colombi o un nido tolto dalla cima di un albero.
In
vetta alla montagna, perché possano con te giocare,
ho
scovato due cuccioli d'orsa villosa,
così
simili fra loro, che a stento sarai in grado di distinguerli;
li ho
scovati e ho pensato: 'Questi li terrò per la mia donna'.
Avanti,
solleva il tuo bel capo dal mare azzurro,
avanti,
vieni, Galatea, e non spregiare i miei regali.
Io mi
conosco, sai, poco fa in uno specchio d'acqua mi son visto
riflesso
e ciò che ho visto del mio aspetto mi ha soddisfatto.
Osserva
quanto son grande: neppure Giove in cielo ha un corpo
grande
come il mio (voi parlate sempre che lì regna
un non
so quale Giove). Una chioma foltissima mi spiove
sul
volto truce e mi vela d'ombra le spalle, come un bosco.
E non
credere brutto che il mio corpo irto sia tutto di fittissime
e dure
setole; brutto è l'albero senza fronde, brutto
il
cavallo senza criniera che gli ammanti il biondo collo;
piume
ricoprono gli uccelli, beltà delle pecore è la lana:
agli
uomini si addicono la barba e il pelo ispido sul corpo.
Ho un
occhio solo in mezzo alla fronte, ma a un grande scudo
lui
assomiglia. E poi? Dall'alto del cielo il Sole non vede
tutto
l'universo? Eppure anche lui ha un occhio solo.
Aggiungi
che mio padre è il re del vostro mare:
io te
l'offro come suocero. Abbi solo un po' di pietà e ascolta,
ti
supplico, le mie preghiere: a te sola mi sono prosternato.
Io che
disprezzo Giove, il cielo e il fulmine che tutto penetra,
temo
solo te, Nereide: peggiore del fulmine è l'ira tua.
Ma
persino il tuo disprezzo potrei io sopportare,
se
rifiutassi tutti. Perché invece respingi il Ciclope
e ami
Aci? Perché ai miei amplessi preferisci i suoi?
Che
lui si compiaccia pure di sé stesso e, cosa che non vorrei,
piaccia
anche a te, Galatea; ma se capita l'occasione,
sentirà
come corrisponde a questo corpo immenso la mia forza.
Lo
squarterò vivo e per i campi, sopra le acque in cui vivi
a
brandelli scaglierò le sue membra: e s'unisca a te se gli riesce!
Brucio,
brucio, e la mia passione offesa più indomabile divampa,
mi
sembra che con tutte le sue forze l'Etna
mi sia
entrato in petto: ma tu, Galatea, non ti commuovi!"
Dopo
questi vani lamenti (nulla mi sfuggiva)
si
alzò e, come il toro furibondo per il ratto della compagna
non
può star fermo, si mise a vagare per boschi e forre a lui noti.
Così
quell'essere feroce, senza che ce l'aspettassimo,
ci
sorprese ignari, me ed Aci, e urlò:
"Vi ho colto:
questo,
state certi, sarà l'ultimo vostro convegno d'amore!".
E la
sua voce fu così assordante, come è giusto che l'avesse
un
Ciclope infuriato: un urlo che terrorizzò persino l'Etna.
Io
sgomenta mi tuffo sott'acqua, nel mare lì vicino;
il
nipote del Simeto, voltate le spalle, fuggiva
gridando:
"Aiutami, Galatea, ti prego; aiutatemi, aiutatemi,
genitori
miei, ma se mancassi, accoglietemi nel vostro regno!"
Il
Ciclope l'insegue e, staccato un pezzo di monte,
glielo
scaglia contro: benché soltanto lo spigolo esterno
del
masso lo colpisca, Aci ne viene del tutto travolto.
Noi,
unica cosa che permetteva il destino, facemmo in modo
che in
Aci riaffiorasse la natura avita.
Ai
piedi del masso colava un sangue rosso cupo:
non
passa molto tempo che il rosso comincia a impallidire,
prima
assume il colore di un fiume reso torbido dalla pioggia,
poi
lentamente si depura. Infine il macigno si fende
e
dalle fessure spuntano canne fresche ed alte,
mentre
la bocca apertasi nel masso risuona d'acqua a zampilli.
È un
prodigio: all'improvviso ne uscì sino alla vita
un
giovane con due corna nuovissime inghirlandate di canne,
che,
se non fosse stato così grande e col volto ceruleo,
Aci
sarebbe stato. Ma anche così era Aci mutato in fiume,
un
fiume che conservò il suo antico nome".
Galatea
aveva finito il suo racconto.
Le Nereidi, sciolto
il convegno,
si allontanano nuotando nelle onde tranquille.
INGREDIENTI (per circa 5 kg di confettura)
Per la confettura
4.00 kg di albicocche (snocciolate)
1.40 kg di zucchero semolato
2 limoni
PREPARAZIONE
Per la confettura
Per preparare la nostra confettura dobbiamo scegliere delle albicocche mature e di buona qualità, se ne avete la possibilità quelle del Salento, di Galatone, la Cultivar Galatea.
Dopo aver lavato le albicocche le ho private del nocciolo e tagliate in quattro parti.
Le ho messe in una pentola capiente ed ho unito il succo di due limoni.
Prima di spremere i limoni ho grattugiato la buccia e messa anch'essa in pentola con la polpa di albicocca.
Ho acceso il fornello a fuoco medio e, a metà cottura, ho unito lo zucchero.
Evito la temperatura eccessiva e per tempi lunghi.
La conservabilità della confettura è data da una buona percentuale di zucchero,
Dopo aver lavato le albicocche le ho private del nocciolo e tagliate in quattro parti.
Le ho messe in una pentola capiente ed ho unito il succo di due limoni.
Prima di spremere i limoni ho grattugiato la buccia e messa anch'essa in pentola con la polpa di albicocca.
Ho acceso il fornello a fuoco medio e, a metà cottura, ho unito lo zucchero.
Evito la temperatura eccessiva e per tempi lunghi.
La conservabilità della confettura è data da una buona percentuale di zucchero,
e da un ridotto ph della confettura stessa.
Otteniamo un ph soddisfacente con l'aggiunta del limone (1/2 limone ogni chilo di frutta).
L'aggiunta dello zucchero a metà cottura è per evitare la caramellizzazione dello zucchero stesso che donerebbe, alla confettura, un colore più brunito.
Inoltre ho imparato ad evitare di macerare la frutta prima di portarla in cottura perché,
così facendo, ottenevo maggior liquido che poi deve essere eliminato allungando
i tempi di cottura.
L'eccessiva concentrazioni di liquido aiuta la proliferazione dei batteri
e quindi danneggia la confettura.
Un altro elemento che mi aiuta nella buona riuscita sono i semi.
Durante la cottura metto in pentola dei semi di limone e di mela
avvolti e legati in una garza di cotone.
I semi, di agrumi e di mela verde, contengono alte percentuali di pectina
che viene rilasciata in fase di cottura.
Prima di frullare la preparazione vado a togliere, dalla pentola,
il sacchetto di semi ovviamente.
Inoltre ho imparato ad evitare di macerare la frutta prima di portarla in cottura perché,
così facendo, ottenevo maggior liquido che poi deve essere eliminato allungando
i tempi di cottura.
L'eccessiva concentrazioni di liquido aiuta la proliferazione dei batteri
e quindi danneggia la confettura.
Un altro elemento che mi aiuta nella buona riuscita sono i semi.
Durante la cottura metto in pentola dei semi di limone e di mela
avvolti e legati in una garza di cotone.
I semi, di agrumi e di mela verde, contengono alte percentuali di pectina
che viene rilasciata in fase di cottura.
Prima di frullare la preparazione vado a togliere, dalla pentola,
il sacchetto di semi ovviamente.
Quando la confettura mi appare pronta la frullo con il frullatore ad immersione.
La cottura è perfetta quando siamo a 110°C circa e comunque quando messe alcune gocce di confettura su un piano di marmo, o di acciaio, le gocce rimangono compatte e non rilasciano acqua in eccesso.
La cottura è perfetta quando siamo a 110°C circa e comunque quando messe alcune gocce di confettura su un piano di marmo, o di acciaio, le gocce rimangono compatte e non rilasciano acqua in eccesso.
Porto il fuoco al minimo e invaso velocemente con l'aiuto di un imbuto.
Chiudo i vasetti con le capsule e li capovolgo su un piano di legno.
Già dopo poco è possibile capovolgere i vasi e verificare la presenza del sottovuoto.
Quando sono freddi li metto in lavastoviglie ed eseguo un lavaggio breve a 65°C in modo da pastorizzare ogni vasetto.
Una volta freddi su ogni vaso metto l'etichetta.
Chiudo i vasetti con le capsule e li capovolgo su un piano di legno.
Già dopo poco è possibile capovolgere i vasi e verificare la presenza del sottovuoto.
Quando sono freddi li metto in lavastoviglie ed eseguo un lavaggio breve a 65°C in modo da pastorizzare ogni vasetto.
Una volta freddi su ogni vaso metto l'etichetta.
Quest'anno mi sono sbizzarrita con esperimenti:
- Al rosmarino
- Alla menta
- Al pepe nero
- Allo zenzero
Al rosmarino- Al rosmarino
- Alla menta
- Al pepe nero
- Allo zenzero
Perfetto da gustare con formaggi stagionati, serviti su un bel tagliere di legno.
Altro non si deve fare che unire, da subito, qualche rametto lavato di rosmarino e toglierlo dalla confettura prima di frullarla.
La quantità di spezie/erbe è, secondo me, dettata dal buon senso e dal gusto personale.
Io, per quattro chili di frutta, ho messo cinque rametti di rosmarino fresco.
Alla menta
Inusuale ma fresca, adatta per una merenda.
Anche in questo caso ho unito da subito qualche rametto di menta fresca, avendo cura di toglierla prima di frullare.
Al pepe nero
Per molti ma non per tutti!
Ho aggiunto del pepe macinato in caduta termica, ovvero poco prima di invasare, e per richiamarne il ricordo all'occhio, ho messo in ogni vasetto 3 chicchi di pepe nero.
La quantità? Io sono stata davvero parsimoniosa, il pepe non deve essere poco ma nemmeno troppo. Deve essere un ricordo lontano, che arriva da Oriente, appena percettibile: per molti appunto, ma non per tutti!
Allo zenzero
Che dire, io lo zenzero lo metterei ovunque, ovviamente fresco e grattugiato già ad inizio cottura. Se preferite in polvere sarà importante capire la giusta quantità e in questo caso è preferibile introdurlo in caduta termica.
CONSERVAZIONE/SERVIRE
I vasetti vanno conservati in dispensa, preferibilmente al riparo dal caldo e dalla luce.
E' preferibile consumarli entro 12 mesi.
Il vasetto, una volta aperto, va conservato in frigorifero e consumato entro pochi giorni.
E' preferibile consumarli entro 12 mesi.
Il vasetto, una volta aperto, va conservato in frigorifero e consumato entro pochi giorni.
più slanciata di un esile ontano, più splendente del cristallo,
più vivace di un tenero capretto,
più liscia delle conchiglie levigate dal continuo moto delle onde,
più gradita del sole in inverno e dell’ombra d’estate, più eccellente della frutta,
più maestosa di un alto platano, più trasparente del ghiaccio, più dolce dell’uva matura, più morbida delle piume del cigno e del latte cagliato
e più bella di un giardino irrigato,
se non mi fuggissi!"
se non mi fuggissi!"
(OVIDIO, Metamorfosi)
si narra che i Templari portarono, direttamente dall'Oriente,
le albicocche in Puglia, a Galatone,
un piccolo centro della provincia di Lecce,
snodo commerciale fra il nord ed il sud della Puglia stessa.
Albicocca tanto rara e quanto mai preziosa da essere definita
cultivar Galatea
(coltivazione candida)
Oggi presidio Slow Food
Albicocche vero e proprio tesoro del Salento.
Era costume fra i coltivatori del tempo innescare le albicocche su un mandorlo
anziché su un susino, pratica che ha reso questa qualità più longeva,
la varietà Galatone comincia a dare frutti dopo tre anni dal suo innesto
e fruttifica sino ad oltre cinquant'anni.
anziché su un susino, pratica che ha reso questa qualità più longeva,
la varietà Galatone comincia a dare frutti dopo tre anni dal suo innesto
e fruttifica sino ad oltre cinquant'anni.
Albicocca che si presenta precoce,
piccola e dalla buccia con screziature simili a lentiggini,
con un profumo intenso, dolce e dalla consistenza morbida
piccola e dalla buccia con screziature simili a lentiggini,
con un profumo intenso, dolce e dalla consistenza morbida
che si scioglie letteralmente in bocca.
Delicata da manipolare e trasportare
Si narra inoltre che fu San Luca a dipingere la superficie delle albicocche,
così ricca di sfumature, screziata, punteggiata vicino al peduncolo.
Delicata da manipolare e trasportare
Si narra inoltre che fu San Luca a dipingere la superficie delle albicocche,
così ricca di sfumature, screziata, punteggiata vicino al peduncolo.
Ci si rifà di nuovo ad una ninfa:
Galatea
la ninfa del mare, bellissima dalla pelle bianca come il latte.
Si narra di Aci, giovane pastorello che pascolava vicino al mare
vide Galatea e se ne innamorò, l'amore fu ovviamente ricambiato.
Polifemo, il ciclope che abitava il vulcano,
perdutamente innamorato della ninfa,
una sera li vide baciarsi.
La sua gelosia lo accecò.
Lasciò che Galatea si tuffo in mare per scagliare una parte di montagna
contro il giovane pastorello e schiacciarlo.
Gli dei ebbero pena del loro amore, gli permisero di mutare,
dal masso colò sangue cupo che ben presto prese a schiarire.
Il masso si spaccò, dalla gola della roccia emerse un giovane
completamente azzurro di aspetto,
sì un fiume che a tutt'oggi conserva il nome: Aci.
Le nove terre che attraversava portano a tutt'oggi il suo nome:
Aci Castello, Aci Trezza, Aci Reale, ...
sì un fiume che a tutt'oggi conserva il nome: Aci.
Le nove terre che attraversava portano a tutt'oggi il suo nome:
Aci Castello, Aci Trezza, Aci Reale, ...
Un
giorno Galatea, mentre le offriva la chioma da pettinare,
sospirando
dal profondo del cuore, le fece questo discorso:
"Tu
almeno, fanciulla, sei desiderata da uomini civili
e puoi
negarti a loro, come fai, senza timore.
Ma io,
che pure sono figlia di Nèreo, partorita
dalla
cerulea Dòride, che ho alle spalle uno stuolo di sorelle,
solo a
prezzo di grandi sofferenze ho potuto sottrarmi
alla
passione del Ciclope".
E il pianto le impedì di continuare.
E il pianto le impedì di continuare.
La
fanciulla glielo deterse con le dita bianche come il marmo
e,
dopo averla consolata:
"Racconta, carissima,"
le disse
"Racconta, carissima,"
le disse
"e
non celarmi (di me puoi fidarti) la causa del tuo dolore".
Allora
la Nereide così rispose alla figlia di Cratèide:
"Aci
era figlio di Fauno e di una ninfa nata in riva al Simeto:
delizia
grande di suo padre e di sua madre,
ma
ancor più grande per me; l'unico che a sé mi abbia legata.
Bello,
aveva appena compiuto sedici anni
e
un'ombra di peluria gli ombreggiava le tenere guance.
Senza
fine io spasimavo per lui, il Ciclope per me.
Se tu
mi chiedessi cosa prevaleva in me, l'odio
per il
Ciclope o l'amore per Aci, non saprei rispondere:
non
c'era differenza. Oh, quanto è il potere del tuo dominio,
divina
Venere! Quell'essere crudele, ripugnante
persino
alle selve, che solo a rischio della propria vita
può
un estraneo avvicinare, che spregia l'Olimpo e i suoi numi,
ecco
che prova cosa sia l'amore e, preso da violenta smania,
brucia,
dimenticandosi delle sue greggi e delle sue caverne.
E ti
preoccupi del tuo aspetto, di piacere,
Polifemo,
di pettinarti i ruvidi capelli;
pensi
che sia giusto tagliarti l'ispida barba con un falcetto
e
specchiare nell'acqua il viso per studiare un'aria meno truce.
Il
gusto della strage, la ferocia e la sete immensa di sangue
svaniscono;
le navi vanno e vengono sicure.
Un
giorno Tèlemo, sospinto fin sotto l'Etna in Sicilia,
Tèlemo,
figlio di Èurimo, che mai fallì un presagio,
va dal
terribile Polifemo e gli dice: "Quest'unico occhio
che
porti in mezzo alla fronte, te lo caverà Ulisse".
Lui
ride. "O stupidissimo indovino, ti sbagli" risponde,
"un'altra
creatura
mi ha già accecato". Così disprezza chi invano lo avverte
svelandogli
la verità, e a passi enormi camminando
preme
la spiaggia o torna, quando è stanco, nel suo antro buio.
C'è
un colle che si protende nel mare come un cuneo aguzzo;
su
entrambi i suoi lunghi lati s'infrangono le onde marine.
Il
feroce Ciclope vi sale e s'adagia sulla cima;
pur
lasciato a sé stesso, lo segue un gregge di pecore.
Quando
ai propri piedi ebbe posato il pino che gli serviva
da
bastone, un pino che avrebbe ben potuto reggere pennoni,
prese
una zampogna composta da un centinaio di canne,
e
tutti i monti allora risonarono di note pastorali,
ne
risonò persino il mare. Io nascosta dietro una rupe,
rannicchiata
sul seno del mio Aci, colsi di lontano
il suo
canto, di cui ricordo ancora le parole:
"O
Galatea, più candida di un candido petalo di ligustro,
più
in fiore di un prato, più slanciata di un ontano svettante,
più
splendente del cristallo, più gaia di un capretto appena nato,
più
liscia di conchiglie levigate dal flusso del mare,
più
gradevole del sole in inverno, dell'ombra d'estate,
più
amabile dei frutti, più attraente di un platano eccelso,
più
luminosa del ghiaccio, più dolce dell'uva matura,
più
morbida di una piuma di cigno e del latte cagliato,
e, se
tu non fuggissi, più bella di un orto irriguo;
ma
ancora, Galatea, più impetuosa di un giovenco selvaggio,
più
dura di una vecchia quercia, più infida dell'onda,
più
sgusciante dei virgulti del salice e della vitalba,
più
insensibile di questi scogli, più violenta di un fiume,
più
superba del pavone che si gonfia, più furiosa del fuoco,
più
aspra delle spine, più ringhiosa dell'orsa che allatta,
più
sorda dei marosi, più spietata di un serpente calpestato,
e,
cosa che più d'ogni altra vorrei poterti togliere,
più
veloce, quando fuggi, non solo del cervo incalzato
dall'urlo
dei latrati, ma del vento che soffia impetuoso!
Ma, se
mi conoscessi meglio, ti pentiresti d'esser fuggita
e,
cercando di trattenermi, condanneresti il tempo perduto.
Posseggo
una grotta, in una parte del monte, con la volta
di
roccia viva, dove non si soffre il sole in piena estate
o il
gelo d'inverno. Ho alberi carichi di frutta
e, sui
lunghi tralci del vigneto, un'uva che sembra d'oro,
e
un'altra color porpora: per te le serbo entrambe.
Con le
tue mani potrai cogliere succose fragole,
nate
all'ombra dei boschi, corniole in autunno e prugne,
non
solo quelle violacee dal succo scuro,
ma
quelle pregiate che sembrano di cera fresca.
Se mi
sposerai, non ti mancheranno le castagne,
i
frutti del corbezzolo: ogni pianta sarà al tuo servizio.
Tutto
questo bestiame è mio; molto altro vaga per le valli,
molto
si nasconde nel bosco e molto ancora è chiuso nelle grotte.
Se tu
me lo chiedessi, non saprei dirtene il numero.
Solo i
poveri contano le bestie. Sulla loro qualità
non
pretendo che tu mi creda: vieni sul posto e vedrai da te
come a
stento stringano tra le zampe poppe così gonfie.
E
aggiungi i piccoli appena nati, agnelli in tiepidi ovili,
capretti
della stessa età in altri ovili.
Da me
non manca mai il niveo latte: parte è destinato
al
bere, parte si fa rapprendere sciogliendovi il caglio.
E i
regali che riceverai non saranno i soliti
fatui
trastulli, come cerbiatti, lepri o capretti,
una
coppia di colombi o un nido tolto dalla cima di un albero.
In
vetta alla montagna, perché possano con te giocare,
ho
scovato due cuccioli d'orsa villosa,
così
simili fra loro, che a stento sarai in grado di distinguerli;
li ho
scovati e ho pensato: 'Questi li terrò per la mia donna'.
Avanti,
solleva il tuo bel capo dal mare azzurro,
avanti,
vieni, Galatea, e non spregiare i miei regali.
Io mi
conosco, sai, poco fa in uno specchio d'acqua mi son visto
riflesso
e ciò che ho visto del mio aspetto mi ha soddisfatto.
Osserva
quanto son grande: neppure Giove in cielo ha un corpo
grande
come il mio (voi parlate sempre che lì regna
un non
so quale Giove). Una chioma foltissima mi spiove
sul
volto truce e mi vela d'ombra le spalle, come un bosco.
E non
credere brutto che il mio corpo irto sia tutto di fittissime
e dure
setole; brutto è l'albero senza fronde, brutto
il
cavallo senza criniera che gli ammanti il biondo collo;
piume
ricoprono gli uccelli, beltà delle pecore è la lana:
agli
uomini si addicono la barba e il pelo ispido sul corpo.
Ho un
occhio solo in mezzo alla fronte, ma a un grande scudo
lui
assomiglia. E poi? Dall'alto del cielo il Sole non vede
tutto
l'universo? Eppure anche lui ha un occhio solo.
Aggiungi
che mio padre è il re del vostro mare:
io te
l'offro come suocero. Abbi solo un po' di pietà e ascolta,
ti
supplico, le mie preghiere: a te sola mi sono prosternato.
Io che
disprezzo Giove, il cielo e il fulmine che tutto penetra,
temo
solo te, Nereide: peggiore del fulmine è l'ira tua.
Ma
persino il tuo disprezzo potrei io sopportare,
se
rifiutassi tutti. Perché invece respingi il Ciclope
e ami
Aci? Perché ai miei amplessi preferisci i suoi?
Che
lui si compiaccia pure di sé stesso e, cosa che non vorrei,
piaccia
anche a te, Galatea; ma se capita l'occasione,
sentirà
come corrisponde a questo corpo immenso la mia forza.
Lo
squarterò vivo e per i campi, sopra le acque in cui vivi
a
brandelli scaglierò le sue membra: e s'unisca a te se gli riesce!
Brucio,
brucio, e la mia passione offesa più indomabile divampa,
mi
sembra che con tutte le sue forze l'Etna
mi sia
entrato in petto: ma tu, Galatea, non ti commuovi!"
Dopo
questi vani lamenti (nulla mi sfuggiva)
si
alzò e, come il toro furibondo per il ratto della compagna
non
può star fermo, si mise a vagare per boschi e forre a lui noti.
Così
quell'essere feroce, senza che ce l'aspettassimo,
ci
sorprese ignari, me ed Aci, e urlò:
"Vi ho colto:
"Vi ho colto:
questo,
state certi, sarà l'ultimo vostro convegno d'amore!".
E la
sua voce fu così assordante, come è giusto che l'avesse
un
Ciclope infuriato: un urlo che terrorizzò persino l'Etna.
Io
sgomenta mi tuffo sott'acqua, nel mare lì vicino;
il
nipote del Simeto, voltate le spalle, fuggiva
gridando:
"Aiutami, Galatea, ti prego; aiutatemi, aiutatemi,
"Aiutami, Galatea, ti prego; aiutatemi, aiutatemi,
genitori
miei, ma se mancassi, accoglietemi nel vostro regno!"
Il
Ciclope l'insegue e, staccato un pezzo di monte,
glielo
scaglia contro: benché soltanto lo spigolo esterno
del
masso lo colpisca, Aci ne viene del tutto travolto.
Noi,
unica cosa che permetteva il destino, facemmo in modo
che in
Aci riaffiorasse la natura avita.
Ai
piedi del masso colava un sangue rosso cupo:
non
passa molto tempo che il rosso comincia a impallidire,
prima
assume il colore di un fiume reso torbido dalla pioggia,
poi
lentamente si depura. Infine il macigno si fende
e
dalle fessure spuntano canne fresche ed alte,
mentre
la bocca apertasi nel masso risuona d'acqua a zampilli.
È un
prodigio: all'improvviso ne uscì sino alla vita
un
giovane con due corna nuovissime inghirlandate di canne,
che,
se non fosse stato così grande e col volto ceruleo,
Aci
sarebbe stato. Ma anche così era Aci mutato in fiume,
un
fiume che conservò il suo antico nome".
Galatea
aveva finito il suo racconto.
Le Nereidi, sciolto il convegno,
si allontanano nuotando nelle onde tranquille.
Le Nereidi, sciolto il convegno,
si allontanano nuotando nelle onde tranquille.
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